IL DOMENICALE DI R. B./IL RAGAZZO DEL LAGO



“La verità era che la pittura di Vitali,
fissata come si mostrava sul presente,
sembrava, nel suo glorificare se stessa,
abolire tutte le questioni di forma
che l’avevano preceduta;
e quelle che, con ogni probabilità,
la seguiranno”
(Giovanni Testori – Corriere della Sera – 22.08.1984)

Il ragazzo del Lago era alto e bello. E anche un po’ malnatt.

.Autoritratto Giancarlo VitaliMa, ditemi voi, come si fa a non essere malnatt quando si hanno vent’anni o giù di lì? Sarebbero solo occasioni perse, carte scaraventate sul tavolo prima di scoprire cosa ha in mano quell’altro senza quel retrogusto di azzardo che popola l’incoscienza di quell’età.

Nemmeno i ragazzi della Valle, però, erano da buttar via. Ol Claudio, ol Monti, ol Negri, ol Gustiin, ol Franco: belle facce sorridenti che spuntano da fotografie di una vita fa e, scommessa che vincerei facilmente, un po’ malnatt anche loro.

Si incrociano al Pian delle Betulle a sciare e fanno amicizia. Non conta se vieni dal lago o dalla Valle: se corri sugli stessi binari prima o poi ti incontri e quel che deve essere sarà perché da qualche parte così è già scritto.

Non voglio pensare cosa accadde quando alle Betulle si imbatterono in una compagnia di studenti universitari francesi; solo,  immagino non fossero esclusivamente maschi. E tanto, per ora e per sempre, ci deve bastare.

Poi, dannato tempo, ognuno andò per la sua strada ma il legame rimase forte, perché quando sei amico vero e condividi i vent’anni devi rassegnarti, lo sarai per tutta la vita.

Così uno andò a lavorare al giornale della Sera, uno si mise a vendere macchine tedesche, l’altro girò un po’ l’Italia, l’altro ancora divenne capo officina, un altro fece il geometra.

Lui, il ragazzo del Lago, invece no. Scelse altro e preferì, non a basso costo secondo le comuni quotazioni, la libertà.

Il ragazzo del Lago scelse di fare il pittore.

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TRAMONTO LAGO 060616Sono sempre stato affascinato dal Lago. Forse perché per raggiungerlo bisognava lasciarsi alle spalle le proprie abitudini e percorrere quella strada costruita sul filo dei burroni; curva dopo curva arrivavi finalmente ad intravvederlo e niente sembrava più lo stesso.

Qualche volta, addirittura, immaginavo potesse parlare.

Io sono il Lago e aspetto.
Aspetto che la nebbia scompaia al mattino.
Aspetto che il sole baci le mie onde.
Aspetto che il pesce salti tra le mie gocce.
Aspetto la Breva ed anche  il Tivano.
Aspetto che tu ti specchi nelle mie acque.

Ma non era possibile. Un Lago non parla.

Io sono il Lago e aspetto.
Aspetto che il cielo vomiti fulmini.
Aspetto che la montagna scarichi la sua potenza.
Aspetto che il battello scivoli tra le mie braccia.
Aspetto che tu voglia sentirmi.
Io sono il Lago e non ho paura.

No, un Lago non può parlare. Casomai ascoltare. Ecco, un Lago può ascoltarti e, se riesci a comprenderle, darti anche delle risposte.

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http://www.giancarlovitali.com/media/mostre/11-ant.jpgMa per avere risposte non è stato necessario prendere il battello. Ho avviato la mia Idea azzurra, mi sono infilato in una metropolitana e ho cercato in mezzo alla città.

Niente curve e nemmeno gallerie; niente Orrido né Pioverna, ma il Duomo, la Madonnina ed un’umanità assiepata ai gradini della Cattedrale in tutto e per tutto simile agli agoni quando, rischiando la vita, si avvicinano a riva sperando di non finire nella rete dello zio Arturo.

Infine l’ho visto. Ho visto il Lago e mi ci sono inabissato abbandonando ogni altro pensiero, lasciandomi trasportare dalle onde e baciare dal Bellanasco, dal Menaggino, dalla Breva e anche dal Tivano.

Ho incontrato gente che mi ha fatto letteralmente piangere, come il sacrestano di Pasturo o il Nino Canova; ho cercato la ricetta da presentare al farmacista Pirola, ma nelle tasche non mi era rimasto nulla, solo una manciata di ricordi che si sono persi in quelle sale tra gli sguardi ammiccanti di gente che mi sembrava di conoscere da sempre e che ero sicuro di aver visto in un trani la sera prima.

Ho respirato il fumo di decine di sigarette e sentito  suonare il sassofono dell’Ercolino Nogara, e poi anche la banda; ho tentato di distogliere lo sguardo dagli occhi del Moc, e vi confesso che non è stato facile.

E poi tutto il resto, la magnificenza della bottega dell’Arrigoni, le tavole zeppe di resti abbandonati, i rossi carne, le finestre sul paese.

Che altro? Ah, ecco, quasi me lo dimenticavo: il ritratto del pescatore. Ol Paol. Ol Paol Pescadoor.

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PAOOLO PESCATORE QUADRO PADRE GIANCARLO VITALILa prima volta che il ragazzo del Lago venne portato dal suo amico in Brigolda , nota contrada in quel di Cortenova, venne sottoposto ad un sommario interrogatorio.

Come se ciamet? Den do ruet? Se feet? Chi el ol tò pà?

“Paolo, fa il pescatore”.

“Ol Paolo pescadoor?” gli chiesero in quella cucina.

“Sì – rispose – proprio lui”.

“Putanega – esclamò in technicolor la nonna Lina – so stada daa un po’ morosa!”.

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Per noi figli di quei malnatt della Capanna delle Betulle Giancarlo Vitali è sempre stato “ol fiool dol Paol Pescadoor”. Non chiedetemi il perché, non ve lo so spiegare. E’ complicato.

E’ sempre stato l’amico del tuo papà che viveva (e vive) in quella casa sul Lago, vedi quella finestra?, fa il pittore e prima o poi…

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Poi capita che vado a Milano in Palazzo Reale a visitare la mostra dedicata a Giancarlo Vitali e ne esco con una certezza assoluta.

Il Lago parla. Davvero.

E se riesci ad ascoltarlo, avrai anche le tue risposte.

Buona domenica.

BENEDETTI TESTINA
Riccardo

Benedetti

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GIANCARLO VITALI

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