SVILUPPO DELL’ALTOPIANO/LEGAMBIENTE:”BASTA COL TURISMO MORDI E FUGGI”



Durissima Legambiente sulla situazione dell’Altopiano Valsassina: "Siamo al turismo mordi e fuggi che rende inutilizzate le abitazioni un tempo  cresciute come funghi nella buona stagione". Una serie di osservazioni critiche che mettono al centro una proposta: quella di un "Parco Locale di Interesse Sovracomunale (PLIS) nei comuni di Barzio e Cremeno, quale strumento di promozione e non di vincolo, che integra i temi dell’agricoltura, del paesaggio, del turismo e della fruibilità in chiave ecocompatibile".

Ecco il testo diramato dal presidente del Circolo Lecco di Legambiente Pierfranco Mastalli:

Le nostre considerazioni/proposte partono dalla condivisione del fatto che gli elementi da considerare per assicurare un complessivo governo del territorio sono:
x l’identità dei territori da valorizzare attraverso la conservazione di un tessuto economico “tipico” sia artigianale che agricolo;
x lo sviluppo turistico sostenibile da programmare e consolidare;
x l’elevata qualità ambientale esistente (da diffondere e da salvaguardare), tenendo come presupposto e “conditio sine qua non” la cessazione del consumo di suolo non solo per ragioni ecologiche ma anche per il rilevante N. di abitazioni non occupate (6.342 su 7.810) come è il caso nei 4 Comuni in Provincia di Lecco Barzio, Cassina, Cremeno e Moggio (collegati con i comuni bergamaschi attraverso la Culmine di San Pietro) inserite nel PTRA e che rappresentano la cartina di tornasole di una politica fallimentare della montagna., qui con abbandono della pastorizia per puntare sullo sci.
Non è un caso come i sopracitati 4 comuni siano la base di partenza delle 2 funivie per i Piani di Bobbio e i Piani di Artavaggio, che garantiscono un veloce collegamento con i campi di sci ma nello stesso tempo per la loro vicinanza con l’area metropolitana favoriscono anche un  rapido trasferimento, con difficoltà di radicamento di una vera industria del turismo basato sul pernottamento.
Siamo al turismo mordi e fuggi che rende inutilizzate le abitazioni un tempo  cresciute come funghi nella buona stagione..
Almeno per questi comuni valsassinesi il riutilizzo di queste abitazioni e il vero sviluppo turistico non passa attraverso lo sviluppo degli impianti sciistici, anche se il numero dei frequentatori giornalieri può illudere ancora.
La montagna lombarda può assumere un ruolo strategico a patto che i PTRA saranno impostati secondo una diversa logica di quella praticata fin’ora e se si riuscirà a far partire dal basso un modello di sviluppo endogeno.
Nell’esame delle Progettualità locali merita un incoraggiamento e un sostegno la proposta di un Parco Locale di Interesse Sovracomunale (PLIS) nei comuni di Barzio e Cremeno, quale strumento di promozione e non di vincolo, che integra i temi dell’agricoltura, del paesaggio, del turismo e della fruibilità in chiave ecocompatibile.
Ci sembrano da approfondire con attenzione i contenuti dell’Obiettivo operativo 2.3: VALORIZZAZIONE DELLE FILIERE PRODUTTIVE TRADIZIONALI LOCALI E in particolare l’Azione 2.3.1: VALORIZZAZIONE DEI PRODOTTI AGROALIMENTARI TRADIZIONALI IN CUI IL PIANO SI PROPONE ALTRESI’ DI ATTIVARE AZIONI PER LA VALORIZZAZIONE DEI PRODOTTI AGROALIMENTARI E DELLE RISORSE AGRO-FORESTALI QUALI PATRIMONI DEL TERRITORIO E FONTE DI REDDITIVITA’ LOCALE.
Se passiamo dalle belle citazioni alla pratica, è chiaro che ogni proposta deve essere condivisa e crescere dal basso, con il coinvolgimento delle popolazioni alle quali non si possono imporre regole o comportamenti dettati dai poteri costituiti: vedi il caso della produzione del formaggio Bitto che ha visto forti contrapposizioni fra le Istituzioni e il Consorzio del Bitto storico, economicamente operativo e positivamente considerato sul mercato. 
In tema di attivazione di interventi per la valorizzazione dei prodotti agroalimentari, abbiamo pensato al formaggio come a uno dei prodotti locali della tradizione, in una area che va dalla Valsassina, alla Val Varrone e alle Valli bergamasche, da sostenere con tutta la sua filiera. 
Ecco quindi la nostra proposta per un:
Ecomuseo del formaggio in Valsassina e Val Varrone- PROPOSTA
Il territorio della Valsassina, vocato a diventare la culla dell’Ecomuseo, è un paesaggio dove la componente naturale è stata  plasmata dalla paziente e testarda maestria delle genti del luogo che in secoli di convivenza ha stabilito un tacito accordo con le forze e le prerogative dell’ambiente circostante.
Il paesaggio culturale che ne è nato è governato soprattutto dalla conoscenza, dalla sapienza frutto dell’esperire e delle pratiche tramandate per via orale. L’abbandono della montagna tradizionale è sinonimo di interruzione di queste pratiche e di oblio delle conoscenze acquisite. Un fenomeno riconducibile sia all’antieconomicità delle attività agricole tradizionali sia alla incolpevole e ormai radicata convinzione (il montanaro si autopercepisce come elemento ultimo all’interno del mondo economico) dell’inutilità del lavoro contadino in montagna.
Non è sempre stato così.
Per salvare la conoscenza acquisita e poter proseguire in queste pratiche è necessario rendere consapevoli dell’importanza del lavoro  queste persone, ridando loro quel rispetto che la banalizzazione, l’omologazione ricevuti "in pacchetto" col modello economico del mercato globalizzato ha loro tolto.
In che modo? Di certo non attraverso un balzo all’indietro nel tempo: il mercato oggi ci fa trovare anche le soluzioni ai danni che ha causato. Ecco la esigenza di un turismo più a misura d’uomo, un turismo rurale che permetta la riscoperta e la riproposizione di tradizioni e di sapori con un percorso che concretizzi il concetto di "sviluppo sostenibile".
Con queste premesse, dobbiamo cogliere l’occasione del dibattito che si è aperto riguardo al destino delle Casere di Maggio, per una riflessione decisiva: continuare nella logica della cementificazione di aree ambientalmente e paesaggisticamente importanti per nuovi centri residenziali o intraprendere iniziative che sviluppino le tradizionali attività lattiero casearie in interventi di sostegno all’agricoltura di montagna, all’allevamento e al turismo sostenibile?
E’ innegabile che la centralità di questa proposta si basa sul valore simbolico e funzionale della “casera” che corre il rischio di rimanere “ricordata” solo nel toponimo e nei cartelli segnaletici lungo le strade valsassinesi.
Non pensiamo ad un concetto limitato a conservare dentro strutture dedicate oggetti e descrizioni di un passato che non c’è più ( memoria nostalgica) ma una iniziativa che dia visibilità e sostegno alle attività del settore che ancora oggi funzionano. Sinteticamente ci riferiamo ad un museo diffuso che esiste, dove funzionano ancora gli allevamenti di bestiame, le stalle, le casere, gli alpeggi, dove i protagonisti e gli esperti sono coloro che si dedicano alle attività lattiero casearie con la relativa filiera. Prima ancora di entrare nel merito di quello che  funziona o che si potrebbe attivare,  è necessaria una riconversione culturale nel capire e nel volere organizzare un Ecomuseo ( nel nostro caso del formaggio) che sinteticamente è stato così definito da Georges Henri Rivière:   "L’Ecomuseo è uno strumento che un’istituzione capace di fornire esperti, servizi, risorse economiche e la popolazione con le proprie aspirazioni, conoscenza, capacità d’approccio costruiscono e gestiscono insieme".                                                                                        L’intuizione e la proposta di Rivière  ha portato prima in Francia, poi nel Piemonte e ora anche in Lombardia alla Istituzione e funzionamento positivo di questo strumento, caratterizzato e indirizzato secondo le peculiarità territoriali, ambientali e produttive incarnate dalla popolazione.  
Partendo da una base espositiva, logistica e informativa organizzata come  museo collocato in una casera  con accanto locali dove sono esposti strumenti usati per la trasformazione del latte e pannelli che descrivono come sono nate le grandi industrie casearie,  l’ecomuseo trova poi la sua realizzazione attraverso la segnalazione di sentieri naturali dove poter scoprire il paesaggio, la sua flora e la sua fauna e poter visitare alpeggi, con la possibilità di esperienze pratiche di vita.
Pensiamo ad un centro museale nel recupero di parte delle strutture storiche delle Casere di Maggio di Cremeno, dove accanto alle funzioni espositive e di coordinamento, venga organizzato per i turisti una punto di offerta della produzione casearia della Valsassina, come lettura del Territorio attraverso la visita aglio Alpeggi e alle  località dove avviene il pascolo e la lavorazione del formaggio, la cui cifra funzionale è  la  casera .
Il progetto Ecomuseo del formaggio in Valsassina deve proporre quindi un percorso di sviluppo locale basato sulla partecipazione diretta della popolazione alla tutela attiva del proprio patrimonio materiale e immateriale.
 Nel territorio della Comunità Montana Valsassina, Valvarrone, Esino e Riviera, il cui Ente potrebbe svolgere il ruolo istituzionale,  le attività dell’ecomuseo saranno indirizzate ad intrecciare la memoria degli abitanti a quella dei luoghi di cui sono artefici e testimoni.
 Alternando ricerca e azione, i protagonisti dell’ecomuseo possono recuperare il senso della riconoscenza:  una competenza nel leggere il paesaggio dove si trovano a vivere e un esercizio attraverso il quale riacquistano la facoltà di continuarlo con coerenza nel proprio tempo.
E’ un percorso che può generare nuovi rapporti di fiducia tra le persone, nuove relazioni funzionali tra le loro attività e le risorse reali del territorio, nuove forme responsabili di produzione e di consumo.
SULLE STRADE DEI FORMAGGI    Per esempio in Valsassina ogni taleggio  inizia il suo percorso sui pascoli di montagna della Val Biandino : è solo qui che le mucche trovano un particolare mélange di erbe aromatiche e piante che conferiscono a questo formaggio un gusto inimitabile e un carattere eccezionale, autentico prodotto tipico del suo territorio.
Il paesaggio agricolo non è un quadro, ma il risultato del lavoro di generazioni di abitanti. Lo possiamo ammirare da lontano, ma siamo in grado di capirlo solo superando la cornice oltre la quale siamo abituati a vederlo.
Non è facile abbandonare le rassicuranti immagini virtuali che sempre più pervadono e
deformano la nostra percezione della realtà, ma entrare nel paesaggio è l’unica strada per recuperare la consapevolezza di avere un corpo e cinque sensi, un luogo e un territorio.
Le strade dei formaggi sono percorsi di ri-abilitazione e ri-conoscenza, lungo i quali
torniamo in possesso di funzioni dimenticate e competenze troppo a lungo delegate ai
tecnici, agli esperti, agli specialisti.
Gli abitanti-produttori di formaggi a latte crudo sono gli eredi e i protagonisti di un mondo in equilibrio fra natura e cultura.

 

 

 

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