ALLARME ECOLOGICO: È PROSSIMO LO SBARCO DI UNA SPECIE ”ALIENA”



La sua comparsa in aree geografiche diverse dall’Asia (suo areale naturale) riguarda gli USA sin dal lontano 1918, e parrebbe introdotto con l’importazione di un fiore ornamentale comunissimo
anche da noi, l’iris, con le radici infestate di uova.I dati bibliografici attestano che il primo paese in Europa a farne le spese è stato il Portogallo. In Italia il ritrovamento è dello scorso luglio nel Parco del Ticino, lungo le sponde del naviglio a Turbigo e, successivamente, è stato osservato anche nel basso lago Maggiore. L’aeroporto di Malpensa, come nel caso di un altro coleottero alieno che si nutre dell’artemisia che causa allergie, è ancora una volta sospettato di essere il tramite dell’”importazione”. Non per curiosità, ci si domanda se da quelle parti li fanno i controlli fitosanitari dei vegetali che arrivano da lontano.

Questo insetto è di medio-piccole dimensioni, lungo 8-11 mm., largo 5-7 mm. Di colore verde metallico nel protorace, bronzeo-ramato nelle elitre, e con cinque macchiette di peli bianchi sui lati dell’addome. E’ inconfondibile rispetto ad un suo stretto parente molto diffuso anche da noi, la Phyllopertha horticola , che è più piccolo della metà.  

I danni alla vegetazione, sia coltivata che spontanea, li procura la larva all’apparato radicale (autunno e primavera, con una pausa invernale), ma anche gli adulti che nel periodo estivo aggrediscono le foglie e i frutti. 

Essendo un insetto di “bocca buona” (polifago), può procurare gravi danni all’agricoltura e, in particolare: a piante da frutta (vite, pesco e pero), orticole (pomodoro, peperone, pisello), di sottobosco (lampone, mirtillo), ornamentali (rosa), e parecchie erbacee selvatiche.

Per le possibili metodologie di lotta ci dobbiamo affidare alle esperienze maturate negli USA, che prevedono modalità di intervento diversificate, a volte congiunte temporalmente. L’utilizzo degli antiparassitari varia a seconda che si debba agire nel terreno contro le larve, piuttosto che sulla parte aerea nei riguardi degli adulti.

Gli inevitabili effetti collaterali provocati da queste sostanze chimiche, alcune delle quali ad alta tossicità per l’uomo e gli animali o per la loro prolungata persistenza nel terreno (inquinamento delle falde acquifere), hanno aperto l’orizzonte anche sul versante della lotta biologica grazie all’introduzione di coleotteri della famiglia Carabidae, che si nutrono delle uova e delle larve del parassita.

Altri piccoli insetti, parenti delle api, (di provenienza anch’essi asiatica), una volta immessi nell’ambiente si sono dimostrati efficaci a scopo predatorio. Ci hanno provato, infine, con l’impiego di un batterio già presente nel terreno (Bacillus thuringiensis), inserito in dosi massicce, che ha il pregio di produrre all’interno delle larve, una tossina velenosa.

In tutti i casi con inevitabili costi per l’agricoltore, assai elevati. L’auspicio è che non si debba arrivare a questo punto e che il parassita venga, per quanto possibile, contenuto nella sua diffusione. Con poche speranze, però.  

 

 

 

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