NELLA STORIA DELLA VALLE: 1929, “DOVE SEI STATO, MIO BELL’ALPINO?”



PAGNONA – Siamo nel 1929, precisamente un 25 novembre ed è proprio quel giorno che Pagnona visse un momento storico. Dopo 12 anni tornava a casa Giovanni Rossini, alpino andato in guerra e dato per disperso.

Giovanni era ripartito per il fronte nel 1916 dopo la licenza invernale e di lui si era persa ogni traccia. In guerra era stato prigioniero ben tre volte fuggendo della prigionia appunto in tre occasioni, per ritrovare dopo 12 anni la strada che lo avrebbe condotto a casa sua.

Ad aspettarlo quel giorno a Bellano c’erano il padre e la madre, scesi da Pagnona a piedi fino a Margno per poi arrivare fino al lago in corriera. Tornando a casa, Giovanni non riusciva a trattenere le lacrime rivedendo le sue montagne, ritrovando tra i faggi d’oro nell’autunno valsassinese, il panorama che lo aveva accompagnato durante la sua giovinezza.

Giovanni non era solo, nell’assenza si era sposato e aveva avuto due bambine alle quale aveva dato i nomi delle sorelle che temeva di non rivedere più, Maria e Grazia.

La storia di Giovanni, raccontata sul Corriere della Sera, parla di fughe, fucilazioni, freddo e fame, infatti, “se qualcuno tentava di scappare lo aspettavano le fucilate delle sentinelle – spiegava Giovanni al cronista raccontando una delle fughe in Austria – ma non mi sono mai scoraggiato e una notte di pioggia, grazie a delle forbici rubate a dei soldati che riparavano un reticolato, sono riuscito a scappare insieme a quattro i miei compagni“.

Storie di giorni passati nascosti nei fienili, nelle siepi cercando le vie per la Svizzera, senza poter chiedere un passaggio e orientandosi col sole. “Si dormiva con una gamba contro la parete, pronti a fuggire se necessario” spiega Giovanni, ma tutte queste precauzioni non furono abbastanza per evitare una nuova prigionia, questa volta in Germania.

Questa volta la fuga si presentò improvvisamente grazie ad un treno carico di legname al quale si aggrapparono per fuggire. I quattro erano ancora in fuga un’altra volta senza una destinazione precisa saltando giù dal treno dopo tre giorni di viaggio e ricominciando la vita nei campi ormai senza meta e speranza.

Dopo aver vagato “come bestie” per tre mesi vennero di nuovo catturati e portati a Cernovitz, dove rimassero in balia delle vessazioni degli ufficiali tedeschi fino alla terza e definitiva fuga, questa volta grazie a degli abiti borghesi venduti da un signore che parlava italiano. Così Giovanni e i suoi compagni finirono fra le masse dei profughi di Russia e tentarono di campare lavorando da legnaioli e muratori.

La guerra era ormai finita ma furono vani i tentativi di essere rimpatriati in Italia, Giovanni trovò un lavoro per il solo vitto in una impresa di disboscamento e fu lì, a Dniester che trovò quella giovane italiana che diventò sua moglie.

Per lunghi anni risparmiò quel che poté fino a che riuscì a mettere da parte i soldi per il viaggio di quattro persone: lui, la moglie e le due figlie. Così, un giorno prese il treno e arrivò in Italia e, racconta il Corriere nell’edizione del 26 novembre 1929, “ora aspetta dopo tanti anni il pacco vestiario da congedato,  perché Giovanni è troppo povero per farne a meno”.

Il pezzo si chiude con le parole di Giovanni, l’alpino tornato in patria: “Anche se non avrò il pacco vestiario mi basta d’essere tornato al mio paese, nelle mie montagne e i miei monti, troppo bello essere di nuovo a Pagnona, sono ancora forte e spero di poter campare ancora, se ci sono riuscito per tanti anni da solo, ora, in quattro avrò la forza per farlo sicuramente“.

F. M.

 

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