PREZIOSE PERCEZIONI: IL “LUSSO NECESSARIO” DEI PIANI DI ARTAVAGGIO



Quando torno in luoghi di particolare amenità alpestre – quella che, quando la osservi, ti genera sul volto un’espressione inesorabilmente felice e nell’animo una sensazione indescrivibilmente piacevole, delicata e intensa allo stesso tempo – come i Piani di Artavaggio, e passeggiandovi mi capita di sentire in rapida sequenza che solo all’apparenza può sembrare casuale persone qualunque che tra di loro si dicono in vario modo quanto sia bello, lì, ripenso spesso a queste parole di John Muir:

“Migliaia di persone stanche, stressate e fin troppo “civilizzate”, stanno cominciando a capire che andare in montagna è tornare a casa e che la natura incontaminata non è un lusso ma una necessità”.

Parole espresse più di un secolo fa (Muir scomparve nel 1914) ma il cui messaggio resta costantemente valido e attuale, segno che esprimono un concetto al di là del tempo e delle variabili umane, probabilmente perché genetico – quantunque “dimenticato” da tanti.

Nel frattempo la “civilizzazione” è salita spesso e volentieri alla conquista delle montagne e non di rado causando danni ingenti sia dal punto di vista ambientale che economico, che sociale. Ciò è accaduto soprattutto dove si è considerata la montagna una risorsa da consumare per ricavarci qualche tornaconto e non un patrimonio da salvaguardare perché in grado di donare un tornaconto a chiunque: certo, cambia la sostanza dei tornaconti in ballo ma pure i loro effetti, appunto, che decretano inesorabilmente quale sia dei due quello da lasciar perdere, se veramente si ha a cuore la salvaguardia e il futuro delle montagne in questione.

I Piani di Artavaggio, in qualità di ex stazione sciistica un tempo rinomata, poi vittima dei cambiamenti climatici e economici e quindi tornata ad essere apprezzata come località “rinaturalizzata” ideale per le varie forme di turismo lento e sostenibile oggi sempre più diffuse – anche in alternativa ai vicini e iper-turistificati Piani di Bobbio – rappresentano un caso significativo di quanto ho scritto poco sopra.

L’identità attuale del luogo, nella quale si ritrova l’essenza più tipica di questi spettacolari monti prealpini che dominano la pianura urbanizzata e guardano verso le maggiori vette delle Alpi, è veramente qualcosa di necessario – come scrisse Muir – di cui poter e dover godere il più possibile. Anzi, a differenza del tempo in cui Muir espresse le sue parole, l’evoluzione della nostra civiltà, che per certi versi siamo costretti a considerare un’involuzione, viste le tante problematiche in essa presenti, il valore ambientale di luoghi come i Piani di Artavaggio sono pure un “lusso”, oggi, cioè un patrimonio che abbiamo a nostra disposizione ogni volta che lo vogliamo e che ci fa tutti quanti più ricchi di bellezza e di benessere – a patto di saper considerare questo suo inestimabile valore, certamente: ma è qualcosa di semplicissimo da fare.

Ogni volta che ritorno ai Piani di Artavaggio, dunque, e penso alle parole di John Muir, poi penso anche a quei progetti che vorrebbero rompere questa sublime armonia montana e disturbare l’anima del luogo per riportarci lo sci su pista, con il corollario di impianti di risalita, di innevamento artificiale, infrastrutture varie eccetera – ne ho scritto più volte qui e sui media locali, come forse saprete già. Progetti che peraltro, al di là dell’impatto ambientale più o meno pesante, non considerano minimamente la situazione climatica che già stiamo vivendo e che diventerà sempre più evidente, nei suoi cambiamenti, negli anni futuri, la quale rende investimenti del genere alle quote di Artavaggio un autentico salto nel buio, se non l’antitesi di un nuovo inesorabile fallimento.

Perché, invece di imporre nuovamente e testardamente modelli di sviluppo turistici non solo obsoleti ma pure concretamente illogici sotto diversi punti di vista, non si ha l’intraprendenza, la volontà, la lungimiranza, la capacità di investire su quell’enorme e prezioso patrimonio naturale che già è presente in loco e merita solo di essere valorizzato nel modo più consono e compiuto possibile? Perché non si possiede la sagacia di vedere, comprendere e poi sviluppare la realtà attuale, che fa di un luogo come Artavaggio un qualcosa di raro e – per tornare a Muir – di necessario per una platea quanto mai ampia di persone, gitanti, turisti, viandanti, villeggianti e per chiunque voglia godere di una così particolare bellezza, e di conseguenza investire finanziariamente in questo tipo di sviluppo virtuoso del luogo e non in altre cose che è la Natura stessa fin da ora a decretare come destinate a vita precaria e brevissima?

Ecco. Al proposito, mi torna in mente la frase di un altro grande personaggio dell’alpinismo storico e della cultura di montagna, Julius Kugy, il quale scrisse:

Non cercate nelle montagne un’impalcatura per arrampicare, cercate la loro anima“.

Troppe volte, a furia di ricoprire le montagne di “impalcature” per salirci sopra, abbiamo perso la capacità di trovare e riconoscere la loro anima. Quando ciò è capitato, si è rivelato uno dei più grandi errori che l’uomo abbia commesso, nel suo rapporto con le montagne. Sarebbe veramente il caso di non commetterlo più, dove e quando possibile.

Luca Rota

 

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