LA POLEMICA/BIOGAS CONSORTILE IN VALSASSINA? C’È CHI DICE… MAI



Lui è Michele Corti, docente universitario e fiero avversario (della prima ora) di quella che definisce "la follia del biogas in montagna". Inquadriamo prima di tutto il personaggio, per certi versi singolare: dal Movimento Studentesco post sessantottino al PDUP, entra poi nella Lega con la quale è prima consigliere comunale a S.Donato Milanese, quindi consigliere regionale e infine assessore all’Agricoltura del http://www.ruralpini.it/images/Prf.Corti.jpgPirellone (1994-95). Esce dalla Lega Nord, quindi partecipa alla fondazione della Libera Compagna Padana. Infine dopo la LCP fonda nel 1996 l’Associazione Culturale Padano-alpina.

Passando al tema (e alla Valsassina), in un articolo sul suo sito ruralpini.it Corti definisce la nostra come "una valle unica, uno scrigno di tradizioni casearie e paesaggi rurali come nessun altra. Ma una politica fallimentare invece di valorizzare le risorse di cultura, paesaggio, tradizioni propone… le centrali a biogas". Così – attacca il docente – gli allevatori dovranno anche vincolarsi con la fornitura di merda e la valle avrà un biglietto da visita fatto di cupole e emissioni inquinanti".

L’articolo è lungo, dettagliato e "tagliente". Lo potete leggere per intero più in basso. Di certo è destinato a suscitare reazioni, per il calibro dell’autore e per i durissimi contenuti. Questa la conclusione dello scritto di Michele Corti: "Va spiegato ai turisti e ai residenti, ai proprietari delle seconde case che la centrale a biogas ha una durata di 20 anni. Per gli allevatori che cadono nel tranello la prospettiva è vincolarsi per venti anni (le penali saranno fortissime perché se l’impianto non ha più merda non può rispettare il contratto con il GSE). …
Gli schiavi del biogas dovranno continuare – nella malaugurata ipotesi di realizzazione del progetto – a produrre merda
".
 

Fermiamo la follia

del biogas in montagna


La Valsassina non c’entra nulla con il biogas

  

Mentre anche in pianura è iniziato un ripensamento sul biogas, i gatti e le volpi tentano di circuire anche gli allevatori di montagna proponendo le "biogas consortili d’altura". Così gli allevatori che già dipendono da chi ritira il latte e fornisce i mangimi dovranno anche vincolarsi con la fornitura di merda.

La lobby biogassista non demorde. Progetti di biogas consortile sono abortiti (o bloccati dagli abitanti) sull’altopiano di Fiavè in Trentino e in Alta Valle Camonica. Suonando tutti i loro pifferi magici i biogassisti stanno tentando di circuire l’alta Val di Non (dove c’è un comitato No pesticidi pronto a mobilitarsi anche contro il biogas) e la Valsugana (vedi post: Con il biogas di montagna la biotruffa ci guadagna) . Nell’eldorado del biogassismo, la Lombardia ora gli avvoltoi volteggiano sulla Valsassina. Parlassimo di Lessinia (Verona) dove è montagna solo altimentrica ma prevalgono stallozze di Frisone che vanno a mangime, di bassa Valtellina e bassa Valcamonica la cosa non sarebbe poi tanto più negativa di quello che è nella Bassa. Ma la Valsassina è montagna vera. Non si fanno le trincee di insilato e si fa anche pascolo e alpeggio. Cosa ci azzecca il biogas in Valsassina  se non sulla base di calcoli a tavolino di chi ha in mente di lucrarci sopra?

A parte ogni altro impatto nessuno si chiede se i digestati del biogas siano idonei nel contesto di un sistema come quello valsassinese basato su prati stabili e pascoli? Il digestato è un concime ammoniacale. Adatto alle colture primaverili (mais) perché, quando nel terreno si riattiva l’attività microbica, i processi ossidativi convertono l’ammoniaca (ben trattenuta dalla capacità di assorbimento del terreno) in nitrati che, se no sono assorbiti dalle radici, vengono lisciviati nell acque causando inquinamento. Già le cose vanno meno bene (in pianura) nell’uso sui cereali autunno-vernini perché  le piogge invernali possono dilavare i nitrati formatisi in autunno con presenza di attività microbica.

Ma cosa serve una botta di ammoniaca ai prati stabili, che non hanno punte di fabbisogno di nutrizione azotata se non a causare inquinamento degli acquiferi?

Mentre in Svizzera il reddito è sostenuto per i servizi di mantenimento della manitagna, per lo sfalcio dei prati, per il mantenimento del paesaggio e della biodiversità nella Lombardia beceramente industrialista si arriva a sostenere che – visto che conferendo il latte alle centrali e agli industriali l’allevatore di montagna guadagna poco bisogna darli la possibilità di produrre energia elettrica sussidiata. le notizie della bassa Lombardia parlano di catene di incidenti, di proteste, di comitati che intendono dare filo da torcere agli speculatori. Pensare di calare in montagna il modello biogas improntato alla pura ricerca della quantità (di merda in questo caso) è puramente demenziale (se non ci fossero dietro interessi spregiudicati).

Piùmerda, più elettricità più soldi (per chi è ancora tutto da chiarire perché in questi casi agli allevatori che cadono nel tranello arrivano le briciole). Basta alpeggio (non si sprechi merda sui pascoli!) e se il biogas da un po’ di soldini avanti con i mangimi e che i prati diventino roveti.

La Valsassina è un concentrato di tradizioni casearie di rilievo mondiale. "Ma anche a Bolzano fanno il biogas". Prima di tutto non fanno impianti consortili mega ma piccoli (lì sul serio) impianti aziendali dove il guadagno – giusto o meno che sia tutto l’ambaradan del biogas – resta in tasca al titolare dell’azienda agricola. Ma chi fa l’esempio di Bolzano pare dimenticarsi che in Südtirol dove, tranne qualche pregevole esempio di "nuova tradizione" artigianale, il latte va alla MILA per essere trasformato in prodotti industriali.

Quando parliamo di Valsassina parliamo del top mondiale della cultura casearia (i vecchi bergamini si rivolteranno nella tomba a sentir parlare che si vuole fare reddito conla merda e non lavorando il latte).

Qui è nata l’industria casearia italiana, qui (insieme alla Val Taleggio) nascono gli stracchini quadri (antenati del Taleggio) e quelli tondi (anternati del Gorgonzola), ma ci sono anche le robiole, i caprini (a coagulazione lattica come in Francia). Ci sono le grotte di stagionatura che hanno fatto la fortuna di Cademartori, Mauri.

Un blasone caseario che è difficile trovare anche in Francia. Invece niente. Pare che, mentre in Valtaleggio si riesca a valorizzare la tradizione con lo Strachitunt (che ha ottenuto la Dop) e lo Stracchino all’antica), in Valsassina non si riesca a combinare nulla. È veramente deprimente pensare ad una valle così bella come la Valsassina che non è in grado di valorizzare in loco il latte e che, per rimediare a questa incapacità, punta a realizzare una centrale coproelettrica dove sarà la merda a sostenere l’economia zootecnica.

Con lo spettacolo delle cupole della centrale, l’inquinamento dei camini dei motori che bruciano biogas e che rigurgitano ragguardevoli quantitativi di polveri sottili, SO2, NOx, Composti organici volatili (e cancerogeni, come la formaldeide). Un biglietto da visita fantastico per la Valsassina. Una tomba sui futuri progetti di valorizzazione delle tradizioni casearie (che magari le future generazioni saranno in grado di intraprendere).

Va spiegato ai turisti e ai residenti, ai proprietari delle seconde case che la centrale a biogas ha una durata di 20 anni. Per gli allevatori che cadono nel tranello la prospettiva è vincolarsi per venti anni (le penali saranno fortissime perché se l’impianto non ha più merda non può rispettare il contratto con il GSE). Niente cambiamenti del sistema di produzione, niente diversificazione, niente differenziazioni. Le opportunità che si presenteranno alla montagna nei prossimi decenni (prima o poi bisognerà cambiare rotta e magare adottare il metodo svizzero!) passeranno invano. Gli schiavi del biogas dovranno continuare – nella malaugurata ipotesi di realizzazione del progetto – a produrre merda.


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