Nel maggio del 2018 Pierfranco Mastalli, già presidente di Legambiente a Lecco e collaboratore dell’Anpi, aveva presentato a Bellano il suo ultimo libro dedicato alle “Memorie del comandante ‘Gek’”, pubblicato da Cattaneo editore. Il libro si basa sostanzialmente sui ricordi dell’ingegner Federigo Giordano abitante a Morbegno, in codice appunto Gek, il quale ancorché giovanissimo partecipava alle formazioni partigiane nella Bassa Valtellina (Morbegno, Gerola Alta) ai confini con la Valsassina, dove invece il comandante era Piero Losi.
Il momento di maggior gloria per il “Comandante Gek” fu quando dovette decidere cosa fare con le truppe tedesche della Flak, una colonna dotata di cannoni antiaerei che partendo da Como era stata fermata dai partigiani a Dongo. Una colonna a cui si era aggregato il Duce, Benito Mussolini con i principali gerarchi fascisti, il 27 aprile del 1945, nella speranza di arrivare in Valtellina per resistere a oltranza all’avanzata degli Alleati americani (la famosa idea di Pavolini di costituire il “Ridotto Valtellinese”).
Il libro è il frutto di circa due anni di conversazioni tra Mastalli e il Giordano, tra il 2015 e il 2017. I contatti di quest’ultimo con i Partigiani iniziano in Romagna, alla fine del 1943. Tornato poi a Morbegno, Giordano si aggrega alle formazioni presenti in Val Gerola, Distaccamento “Minonzio” (Trona) “Croce” (Valvarrone) e “Fogagnolo” (Val Biandino, dove erano arrivati gruppi precedentemente impegnati ai Piani d’Erna).
Agli inizi del 1944 si forma quindi la 55ª Brigata Fratelli Rosselli, guidata da diversi personaggi, diversi dei quali avevano partecipato anche alla Guerra di Spagna nelle Brigate Repubblicane antifranchiste: Valdo Aldobrandi, commissario politico del PCI; Spartaco Cavallini, un tecnico della Breda proveniente da Sesto San Giovanni, il già citato Piero Losi, proveniente da Genova, Leopoldo Scalcini, detto “Mina”, di Colico (morirà poi a Introbio, tentando di fuggire nella via a lui oggi dedicata), Mario Cerati, Ulisse Guzzi e molti altri.
La loro sede principale era il rifugio Casa Pio X in Biandino, da cui nacquero altre Brigate operanti in Valtellina. Giordano ricorda la tattica partigiana del “mordi e fuggi”, brevi attacchi a cui far seguire una veloce ritirata. Tra questi l’attacco alla Caserma fascista di Ballabio, e scontri con militi fasciste a Bellano, Dervio, Colico, dove c’erano presidi della Guardia Nazionale Repubblicana.
Molto accese all’interno dei gruppi partigiani erano le discussioni politiche su cosa fare dopo la caduta del Fascismo: non tutti erano comunisti, i quali avrebbero voluto un’Italia social-comunista dopo la Liberazione, molti invece auspicavano un’Italia liberal-democratica e repubblicana.
Poche in realtà le iniziative militari in Valtellina: più che altro i partigiani erano in posizione di “attesa”, controllando il territorio e soprattutto sorvegliavano che non venissero distrutte dai tedeschi le strategiche centrali idroelettriche sull’Adda, indispensabili per le fabbriche ancora funzionanti appunto della Breda, Pirelli, Falck e le altre dell’hinterland milanese, che oltre a ciò avevano il problema dei continui bombardamenti inglesi sulla loro testa, senza contare che i tedeschi stavano seriamente pensando di trasferire tutte le loro attrezzature in Germania, cosa che sarebbe stata un colpo durissimo per l’economia italiana, anche del dopoguerra.
L’11 ottobre del 1944 comincia la rappresaglia tedesca verso la Val Biandino , causata in parte dall’attentato avvenuto a Cremeno contro il gerarca fascista monzese Luigi Gatti, di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo, e sembra anche da un colpo di mortaio sparato in realtà un po’ a casaccio contro la Villa Serena di Introbio, sede allora del distaccamento nazista (il colpo cadde vicino a dei bambini che stavano giocando nel cortile, uno dei quali oggi ancora vivo e testimone del fatto).
La rappresaglia fu terribile, come ricordano ancora gli anziani di Introbio: alle Bocche di Biandino i partigiani cercarono di opporre una resistenza , dove morirono Giuseppe Trezza e Guerino Besana (il fratello Carlo venne catturato e fucilato pochi giorni dopo) mentre dalla Valvarrone le brigate Fasciste arrivarono al rifugio Santa Rita, dove furono catturati molti partigiani del distaccamento Croce, poi spediti in Germania nei campi di concentramento, come Igino Manni di Gerola Alta e due Russi, morti in combattimento, di nome Piotr e Nicolaj.
Dalla Casa Pio X (poi bruciata con i lanciafiamme dai tedeschi, come molti altri rifugi dell’Alta Valle) i partigiani evacuarono sotto il fuoco nemico verso la Capanna Grassi. Altri scontri ci furono a Bobbio e Artavaggio, ai Rifugi Savoia e Castelli.
I reduci allora si recarono in Val Taleggio “nutrendosi unicamente di formaggio Taleggio in via di maturazione nelle baite dell’Alta Valle”, al freddo senza poter accendere fuochi per non segnalare la propria presenza.
Superando una tormenta di neve poi raggiunsero Foppabona, dove poterono riposarsi in una baita.
Dopo qualche giorno però tornarono in Val Biandino, passando dalle bocchette di Trona e dalla Val Gerola.
Quello che non fecero i tedeschi però riuscì a farlo il famoso proclama del generale americano Alexander, il 13 novembre del 1944. In questo proclama il generale dichiarò che la guerra non sarebbe finita entro quell’anno (i tedeschi avevano approntato un’ultima poderosa linea di resistenza sugli Appennini, detta “Linea Gotica”) e invitava quindi i Partigiani a cessare ogni attività durante l’inverno, in attesa della ripresa delle operazioni nella primavera successiva.
Questo provocò molto scoramento tra i partigiani sopravvissuti alle retate nazi-fasciste, che non sapevano più cosa fare. Alcuni tornarono a casa (sperando di non farsi catturare dai fascisti) molti invece presero la via della Svizzera, sperando nel buon cuore degli elvetici, in realtà già molto preoccupati per la presenza di molti antifascisti (ed ebrei) nel loro territorio, cosa che avrebbe potuto causare un attacco tedesco, ma ormai per fortuna la Germania era stremata dopo cinque anni di guerra.
Fu la famosa “ritirata” della Brigata Rosselli, ben descritta dallo storico dell’Anpi di Osnago Gabriele Fontana in un suo libretto di qualche anno fa dedicato appunto a questo ripiegamento in territorio elvetico.
– FINE PRIMA PARTE –
[la seconda sabato 19 gennaio su VN]
Enrico Baroncelli