STORIA E STORIE IN VALSASSINA: LA RESISTENZA. 1/UNA RIUNIONE CLANDESTINA



Prende il via oggi una nuova rubrica di VN, intitolata Storia e storie in Valsassina. Curata dal prof. Enrico Baroncelli, si occuperà in prima battuta di fatti legati alla Resistenza al nazifascismo. La prima puntata prende le mosse a Introbio, paese natale del comandante partigiano Mario Cerati.

LA RESISTENZA IN VALSASSINA.
1/UNA RIUNIONE CLANDESTINA
“Dobbiamo fare qualcosa, qualche azione, non possiamo fare la figura di quelli che aspettano in montagna che la guerra finisca!”.
Così parlava Mario Cerati, nato a Introbio nel 1913, morto a Introbio nel novembre del 2011.

Tenente con gli Alpini in Montenegro e poi in Francia, fin dal settembre del 1943 aveva scelto di schierarsi con la Resistenza partigiana, rifugiandosi come molti altri a Biandino per non rispondere alla perentoria chiamata del Maresciallo Graziani e della Repubblica di Salò.

Davanti a lui, seduti a un tavolo in salotto, c’era lo stato maggiore della Resistenza: dal Comandante Al (cioè Vando Aldrovandi, commissario politico del P.C.I., che controllava le operazioni da Milano), al dott. Piero Magni (in codice “Pedro”) ad Angelo Villa, detto “Fiorita” (che poi catturato morirà poi a Mauthausen l’anno successivo) probabilmente il professore introbiese Francesco Magni “Francio” e altri ancora.

“Se i Tedeschi ci avessero circondato in quel momento (si era circa nel luglio del 1944) avrebbero decapitato tutta la Resistenza valsassinese”.

E in effetti una camionetta tedesca si avvicinò :”Non perdiamo la calma” disse Al “nascondiamoci con le armi in pugno”. Dietro le tende, i divani, in camera da letto.
La camionetta si fermò davanti a quella casa rustica rossa, sede oggi della Gildo Formaggi, entrando nel piazzale.

“Stiamo calmi, ci penso io” disse Vittorio, il papà di Mario. Uscì fuori con incredibile sangue freddo, per affrontare i nuovi arrivati. Non erano in allarme, per fortuna non sapevano niente della riunione: erano venuti solo per acquistare dei taleggi.

Senza farsi notare, Vittorio tirò un gran sospiro di sollievo: pesò i formaggi, si fece pagare, e la camionetta ripartì come era venuta.

La riunione poteva riprendere.

“Potremmo fare un attentato” disse Pedro. Si, concordarono gli altri, ma contro chi ?

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   Mario Cerati

Ora chi pensa che la Resistenza sia stata fatta di grandi battaglie in montagna, è completamente fuori strada. Grandi battaglie non ce ne furono affatto (tranne pochi casi isolati, forse in Piemonte e Liguria), soprattutto perché i Partigiani erano pochi e male armati. Qualche pistola e pochi fucili, generalmente forniti all’inizio dall’Arma dei Carabinieri, che mal vedeva la nuova Repubblica Fascista soprattutto dopo che Mussolini aveva fatto deportare ad Auschwitz molti Carabinieri dal Lazio per vendicarsi del fatto che avevano partecipato all’ “infame tradimento” del Re Vittorio Emanuele III il 25 luglio 1943, imprigionando il “Duce” prima a Gaeta, poi in Sardegna e infine sul Gran Sasso (da cui lo liberarono i paracadutisti di Von Student il 12 settembre).

La Resistenza era fatta di attentati contro fascisti individualmente, organizzate nelle città dalle Squadre di Azione Partigiana, magari mentre tornavano a casa: l’obiettivo, direi riuscito, quello di farli sentire insicuri nei territori controllati da loro.

Chi scegliere allora come obiettivo? “Pedro” propose l’ex Federale di Como Carlo Ferrario: con lui aveva un vecchio rancore, perché da giovane aveva partecipato al pestaggio di suo padre, il professor Fermo Magni (autore di un interessante volume sul Turismo in Valsassina nel 1903) picchiato perché socialista.

Gli altri però rifiutarono la proposta:”Se tocchiamo Ferrario ci inimichiamo tutti gli abitanti di Introbio (dove Ferrario aveva una casa ed era molto stimato) e della Valsassina”.

Image result for assassinio di Giacomo MatteottiIn effetti Ferrario, che da giovane era un fascista piuttosto irruente, sul suo giornale “La Prealpina” aveva addirittura elogiato l’assassinio di Giacomo Matteotti, “Chi è questo rompicoglioni!”, ma poi era diventato più moderato durante il Regime ventennale, era benvoluto perché recentemente si era opposto a un progetto (in verità piuttosto pazzesco) di allagare tutta la Valsassina e i paesi del fondovalle per costruire una diga idroelettrica e dare “energia alla Patria”.

Ferrario quindi venne escluso: l’obiettivo scelto invece fu un capitano della Guardia Nazionale Repubblicana di Monza, un certo Luigi Gatti, che spesso soggiornava in un albergo di Cremeno.
Si decise di studiare i suoi spostamenti, e di colpirlo mentre passava in macchina (naturalmente una Balilla nera) all’Acquafredda – tra le curve che portano da Cremeno a Balisio.

Fu il famoso attentato del 4 settembre 1944 in cui morirono l’autista del Gatti (questi, fucilato poi dopo il 25 aprile ’45, quel giorno era rimasto in albergo), sua moglie e una povera ragazza che aveva chiesto un passaggio, Teresina Scaccabarozzi, che probabilmente era una ausiliaria arruolata a Lecco (c’è una sua foto in divisa).
Ma questa è un’altra storia.

Enrico Baroncelli

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Riferimenti bibliografici:
Memorie autobiografiche di Mario Cerati (video)
Renzo de Felice, Storia del Fascismo
Gabriele Fontana, Valsassina anni difficili

 

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