PAGANESIMO, MITOLOGIE E TRADIZIONI PRECRISTIANE SPARSE NEL TERRITORIO



Basta fare una passeggiata in un bosco, in una bella giornata di primavera, per rimanere colpiti dalla forza immensa ed inevitabile della natura che risorge dopo mesi di gelo e freddo. Un periodo questo una volta festeggiato e atteso vegliando ad un fuoco nelle lunghe notti di gennaio sperando che la bella stagione porti abbondanza e aiuti nelle scorte per il successivo inverno.

Scacciare Gennaio Fò gineer / ch’è scià febreer! è una tradizione che fortunatamente alcuni borghi del territorio non hanno perso, come per esempio il paese di Moggio dove l’antica ricorrenza scandisce un primo passo verso un clima più mite. Ad essa viene anche accumunata la leggenda dei tre giorni della merla, uccello che per rifugiarsi dal freddo inverno trova riparo nel camino del sindaco, diventando però nero come la fuliggine che da lì fuoriusce. Il signor inverno "Gineer"  viene rincorso in paese con camapanacci, pentole e padelle rumorose fino a quando viene intrappolato e bruciato in un grande falò. Un rito questo ricorrente anche nelle valli vicine dove si rappresenta con maschere il passaggio di testimone tra Gennaio e Febbraio.

Uno degli esempi più conosciuti è il carnevale di Schignano reso famoso anche dalla canzone di Davide Van de Sfroos. Un carnevale dal sapore antico ed in certo senso inquietante: le maschere di legno rappresentano i Bei e i Brut, belli e brutti, l’eterna differenza tra signori e poveri. Al termine della giornata giunti sulla piazza, uno dei ‘brutti" viene scelto per essere messo al rogo. Il rituale vuole però che questi riesca a fuggire. Dopo la caccia per le vie del paese, viene nuovamente catturato e, sostituito con un fantoccio (detto "carlisepp"), dato alle fiamme. Muore così, ogni anno, il carnevale a Schignano.

Un’altra figura vicina a noi è la Gibiana o Giubiana, strega che viene bruciata su di un grande falò a fine gennaio nel lecchese. La Gibiana è una strega con le gambe molto lunghe e le calze rosse. Vive nei boschi ed essendo altissima non mette mai piede a terra, ma si sposta di albero in albero così osserva e spaventa tutti quelli che entrano nel bosco, soprattutto i piccoli. L’ultimo giovedì di gennaio va alla ricerca di qualche bambino da mangiare. Bisaga, la strega di Tartavalle, è la più famosa della Valle nominata anche nel romanzo "Lasco" di Balbiani.

In Valsassina oggigiorno quasi tutte le tradizioni folkloristiche sono legate a una ricorrenza religiosa e hanno perso la loro natura pagana legata alla terra, alle stagioni, ai ritmi della vita e alla magia, benché pure nel nostro passato il territorio abbia ‘visto’ scorribande di esseri sovrannaturali e sfuggevoli. Creature confinate nei luoghi adiacenti ai centri abitati, ma temuti dagli uomini per la presenza di orsi e lupi, nel tempo sterminati. Boschi a volte oscuri ed inesplorati che nascondono la paura e nel contempo il fascino dell’ignoto. Memorie che le nuove generazioni stanno perdendo.

Sul vicino Legnone, spartiacque tra altolago e Valvarrone, orsi e di lupi vengono spessi presentati come metamorfosi delle streghe. Si racconta perfino di un uomo selvatico locale, quasi ‘concorrente’ del più famoso "homo salvadego" della val Gerola. (Nel dipinto a destra).

Nell’immaginario popolare della Valsassina e della zona orientale del Lario, la Cabra sbagiola è un animale notturno, mezzo uccello e mezza capra, che esce di notte dalle caverne emettendo un cupo belato misto a voce umana e cerca di entrare nelle camere dove dorme la gente "non in regola con la coscienza" . Variante radicata in centro valle quella della Cabra col pec de strasc, animale con le mammelle fatte di stracci che attira nei luoghi più impervi i valligiani, chiara impersonificazione del demonio. Pietro Pensa riferisce di questa credenza in vari documenti. 

Animale mitologico in comune con la Valtellina, ma dimenticato in Valle, il Gigiat (nel dipinto a sinistra) è noto al di fuori dei confini della val Masino, sua abituale dimora, ed in particolare nella vicina Costiera dei Cech ed in Valsassina.

Uscita dai severi bastioni granitici della val Masino, la sua figura assume tratti più vaghi, che rimandano all’antichissimo mito del dio Pan, connesso con l’inesauribile fecondità della natura ed il ciclo che sempre si rinnova della vita. Pare abbastanza certo che d’inverno scenda sul fondovalle, anche se, per la sua grande rapidità, non viene mai avvistato, se esso non vuole.

Non è ben chiaro neppure di che animale si tratti: probabilmente è un incrocio fra un caprone ed un camoscio, dal pelo lunghissimo e dalle dimensioni gigantesche, tanto da poter attraversare un’intera valle con pochi balzi.

L’aspetto più enigmatico di tutta la faccenda è che, nonostante le sue dimensioni, ben pochi riescono ad avvistarlo, fondamentalmente solo le guide alpine. Altre fonti dicono che non sia poi così gigantesco.

In ogni caso il suo identikit ce lo rappresenta con una testa di dimensioni sproporzionate rispetto al corpo, con un naso schiacciato e lunghe corna; le zampe anteriori sono fornite di unghioni, le posteriori di zoccoli prensili; il pelo lungo ed arruffato emana un insopportabile puzzo di caprone selvatico.

Inutile dire che molte leggende nascono come monito, per i più piccoli, a non abbandonare – ad esempio – la propria abitazione e in senso più lato "la retta via".  I miti sono legati a bisogni interiori dell’uomo, risposte a fenomeni incompresi oppure esorcismi contro paure e disgrazie.

Le antiche tradizioni pagane legate alla vita, alla fecondità della primavera, al sole, alla morte ed ad altri elemti naturali vennero assorbite e cancellate quasi completamente con l’arrivo del cristianesimo, datato, nel nosro territorio, indicativamente al quinto secolo. A noi oggi rimangono pochissime leggende tramandate oralmente e poco più.
 

SOTTO NEL VIDEO DI LORENZO MILESI "LA LEGGENDA DEI TRE GIORNI DELLA MERLA" A MOGGIO ED IN UN VIDEO DA YOUTUBE LA LEGGENDA DELL’HOMO SELVADEGO DELLA VALGEROLA

fonti: paesidivaltellina – archivio Pietro Pensa

 

 

 

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