DON GABRIELE COMMENTA IL VANGELO DELLA DOMENICA DELLE PALME



Il Vangelo di oggi ci presenta l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, e la Liturgia, proponendoci nella seconda lettura l’inno cristologico di Paolo, ci suggerisce di vedere l’episodio del Vangelo come il sogno che Dio Padre ha in mente da sempre: il sogno di una umanità che accoglie libera e gioiosa Gesù, il Figlio inviato dal Padre, e che si ritrova a vivere da fratelli e nella pace portata da Gesù. Detta così sembra una religione inventata da noi; eppure, anche se ne parliamo molto poco, questa è la rivelazione e la missione di Gesù: “perché venga il suo Regno”, ed è lo sbocco sicuro della storia umana.

Deve essere stato confortante per Gesù, dopo tanti propositi di
ucciderlo, il modo sincero di come è stato accolto con gioia in 
Gerusalemme: non sono stati molti, nella vita di Gesù, squarci di gioia come questo. E deve essere stata la gioia di Dio Padre nel vedere il proprio Figlio accolto così da uomini finalmente fratelli, gioiosi e in pace. Anche a noi la Liturgia fa chiedere a volte un po’ di gioia: la festa di oggi, se vissuta bene, ci fa un po’ sperimentare la gioia e la pace di sentirci figli della stesso Padre e fratelli fra noi.

Ma perché questo sia possibile abbiamo bisogno di un Dio che
venga fra noi a insegnarcelo con la verità e la mitezza della sua 
stessa persona: non un Dio che venga con la sua onnipotenza, perché questo ci metterebbe paura e ci costringerebbe alla obbedienza; un Dio invece che scenda fra noi, che si metta sotto di noi, come fa a volte un papà quando gioca alla lotta con il suo bambino o come ha fatto Gesù quando ha lavato i piedi si suoi apostoli: un Dio così non mette paura, e noi abbiamo soprattutto bisogno di un Dio che tocchi il nostro cuore e susciti amore.

Gesù è entrato così nella Gerusalemme di allora ed entra così nella Gerusalemme di oggi che è la nostra Chiesa, il nostro mondo. Allora, come segno di accoglienza, la gente colse rami dagli alberi e li agitò in segno di festa acclamando: “Benedetto Colui che viene nel nome del Signore”.

Noi oggi riceviamo questi rami di ulivo come segno della pace
portata da Gesù che ha detto ai suoi apostoli: “Vi lascio la pace, 
vi do la mia pace”: sono un dono che riceviamo dal Signore, ma anche un impegno a portare questa sua pace nel mondo, in ogni luogo dove viviamo.

Il nostro pensiero va ai paesi in guerra, ai popoli privati della loro
libertà, alla innocenza dei bambini profanata, alle persone trattate come merce, alle famiglie divise e a quanto altro ancora. Come fare a portare giustizia e pace in tutto questo, e per di più nel modo di come ha voluto fare Gesù? E dov’è il suo risultato?


Eppure, questo è ciò che continua a chiederci: “la sua pace, e non
come la dà il mondo”. A prezzo del suo sacrificio, e nostro, se lo vogliamo seguire.

Don Gabriele
Vicario parrocchiale

 

 

 

 

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