IL DOMENICALE DI R.B./I FILI DELLA FUNIVIA E QUELLE ISOLE SUL PENTAGRAMMA



  E nella nuda luce vidi
Diecimila persone, forse più.
Gente che parlava senza comunicare
Gente che udiva, senza ascoltare
Gente che scriveva canzoni che le voci non potevano condividere
E nessuno che osi
disturbare il suono del silenzio.
“Idioti” dissi io “voi non sapete
Che il silenzio cresce come un cancro
Sentite le parole che posso insegnarvi,
Prendete le mie braccia così che possa raggiungervi” 

(The Sound of Silence Simon & Garfunkel – 1965)


Sala vuota.

Le porte cominciano ad aprirsi e chiudersi.

Brusio, mormorio, chiacchiere a bassa voce.

Sala piena. Silenzio. Adesso è il momento.

concerto pubblico2Una nota, poi un’altra, un’altra ancora e una domanda, tanto per cambiare, come tante che ci facciamo e che mi faccio anche pubblicamente ogni domenica grazie alla pazienza del direttore.

Cosa vale una sola nota? Cosa può mai fare da solo quel puntino sul pentagramma, isola persa tra corsie disegnate su uno specialissimo piano cartesiano?

Già, una sola nota può fare poco. Un po’ come quella particella di sodio naufraga in bottiglia. Per cui, e riparlo di note, provate ad aggiungerne un’altra. E poi un’altra. E poi un’altra ancora.

Così il mare improvvisamente si restringe, i puntini assumono una logica, qualcuno che li sa leggere inizia a seguirla e la sala applaude.

Pensateci: sette note, sette piccole note. E guardate cosa sono stati capaci di tirarne fuori, mettendole assieme,  una squadra di geni in ogni singolo periodo della nostra storia di abitanti di questo pianeta.

Altra domanda (si vede che oggi è il giorno, per cui scusatemi o smettete di leggere).

Avete mai visto come è fatto il cavo di una funivia? C’è un filo, poi un altro, poi un altro ancora. Tanti fili, tonnellate di acciaio intrecciate, che sopportano, tutti assieme, cabine grandi come monolocali, portando a spasso centinaia di persone alla volta.

Un filo solo varrebbe poco, anzi, per dirla tutta, varrebbe niente, non riuscirebbe a sostenere nemmeno una cornacchia; tanti fili per farne uno, invece, hanno una forza mostruosa.

Devo andare avanti? No, non è il caso. O forse sì.

TERREMOTO la nuova chiesaOggi alcuni nostri convalligiani sono a Buia. Ricordano un terremoto ma, soprattutto, celebrano un’amicizia e mani tese verso chi ha bisogno; festeggiano insieme ad altri che in quei mesi del 1976 hanno aiutato a spazzare via macerie e lacrime, respirando la stessa polvere, condividendo gli stessi sgomenti, ricostruendo borghi e chiese e fabbricato legami di cemento armato.

Da un’altra parte del mondo altri valsassinesi stanno avvicinandosi, tutti assieme, ad un campo base; poi quel che sarà, sarà. O, se credete che da qualche parte ci sia già tutto scritto, ciò che dovrà essere, sarà.

In ogni caso saliranno in cordata, l’uno sosterrà l’altro e insieme raggiungeranno una cima, che non era quella preventivata ma va bene lo stesso, l’altra li aspetta ancora.

Ancora insieme.

Introbio, ieri sera. Porte che si aprono e si chiudono, Chiesa piena, mormorio, brusio, chiacchiere a bassa voce.

Infine silenzio.

Poi una nota, e un’altra, e un’altra ancora. La  musica scorre tra le navate, si incunea tra i banchi e le sedie, avvolge il pubblico facendolo precipitare in un’altra dimensione spazio temporale.

Tanta gente, tutta assieme, pronta a lasciarsi andare, a emozionarsi. Ed i pensieri se ne stanno, per qualche ora, fuori dalla porta con gli spazzacà della mente ben chiusi, almeno stavolta, almeno adesso, almeno per queste due ore.

Gente che canta in coro,  e sono non una, non due, ma tante voci a prendere il largo a vele spiegate fra le isole sparse sul pentagramma;  si muovono agili tra un segno e l’altro traducendo un linguaggio che non ha bisogno di essere tradotto, rappresentazione massima dell’universalità.

Padre-Pedro-2Anche qui, a Introbio, stretti come i fili dei cavi di una funivia; come la gente attorno alla chiesa di Don Beinat e dell’architetto Adelino; come il Flavio, il Mario, il Guido e tutti gli altri che se stanno camminando in compagnia verso montagne di roccia, neve e ghiaccio; come Padre Pedro ed i suoi guerrieri dell’Operazione Mato Grosso e i suoi angeli dell’ospedale di Poxoreo; come i pionieri moderni delle Montagnedellagodicomo.

Anche qui, a Introbio, puoi riconoscere da vicino questa umanità che sta insieme, chi seduto sulle panche, chi in piedi con lo spartito in mano, per salutare altra gente venuta a trovarci e che, per farlo, non ha dovuto scavalcare muri o aggirare barriere. E’ arrivata qui e basta, e fa festa, e canta in coro, e applaude felice, e sorride alla vita e agli amici.

Insieme, perché da soli, a meno che tu sia (o non ti ritenga) un Nazareno, non si va da nessuna parte.

Buona domenica.

BENEDETTI TESTINA
Riccardo

Benedetti
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