PRIMALUNA – “Buona sera a tutti, approfitto del quarto d’ora accademico” parte così l’evento commemorativo coordinato da Valerio Ricciardelli per don Luigi Melesi, “l’uomo della speranza” cappellano per trent’anni a San Vittore e prima, per vent’anni, alla casa per la rieducazione giovanile Arese.
Si parte subito coi ringraziamenti per l’organizzazione dell’evento alle parrocchie del decanato, ai comuni di Cortenova e Primaluna, agli ex allievi salesiani del passato. Don Sandro porta avanti il testimone dei grandi salesiani del passato, e viene data importanza a tutto il suo operato che si rivede grazie a tutto quello che è riuscito a fare non vincolandosi nella scelta di distinguere, di etichettare, e di vedere solo gli errori dell’essere umano “un grande abbraccio a tutti i nostri testimoni”. Il valore di don Melesi ha valore soprattutto grazie a loro, il risultato incondizionato del suo amore per Cristo e per l’umanità dell’essere umano, da questo memoriale e dalla presentazione si evince quanto è stato radicale e rivoluzionario nel prendersi cura delle anime delle persone, quelle più bisognose di redenzione, mostrando loro un cammino verso la luce quando tutto intorno era difficile. Le persone che hanno avuto a che fare con lui si sono sentite toccate nel profondo, accettate, ascoltate, in continuazione durante la serata si è messo in luce il grande cuore, la grande forza di condurre una vita così intensa, assorbendo e ascoltando le storie, le vite, le disavventure, le scelte magari anche sbagliate, senza mai dare un giudizio, sempre e unicamente dando forza.
Perché la Valsassina? È stata una terra di grande salesianità l’applicazione del sistema educativo di don Bosco. Basti pensare a tutte le strutture formatesi a riguardo, l’istituto comprensivo san Giovanni Bosco e il Giglio. Don Luigi, nato a Cortenova il 4 gennaio 1933, figlio di una famiglia molto religiosa, come già affrontato in questo approfondimento viene ricordato anche tramite una lettera del 1967 in occasione del suo primo viaggio missionario dopo la spiegazione dell’omelia.
Ernesto Balducchi ex appartenente al gruppo prima linea, detenuto per banda armata, 35 mandati di cattura, aiuta a far emergere come per lui la persona umana è la realtà umana più preziosa di tutta la creazione, “sul calvario di Cristo c’era di tutto anche delinquenti e bestemmiatori” e per il don non poteva esserci una diversa pietas a seconda del defunto. Balducchi dall’84 era stato per due anni interi senza la minima fiducia nel cappellano, racconta di come grazie all’operato di don Luigi abbia creato un rapporto di fiducia con lui portando così alla consegna delle armi e la fine della lotta armata, di come il gesto di ricevere una stretta di mano attraverso il blindato sia stata una corda di speranza calata in un pozzo. Prosegue ammettendo che i morti erano stati fatti, e che il diritto di chiedere una condanna anche dura era giusta, quello che però non era giusto fino a quando non ha conosciuto il sacerdote era non poter pregare i propri morti, infatti il cappellano si adoperò per chiedere uno ad uno i morti da ricordare e fece stampare una immaginetta.
Franco Bonisoli: “Saluto dei tuoi briganti. Per noi un padre che ci hai saputo guidare fuori da tanti abissi esteriori, le carceri, e interiori con un ascolto. Per te eravamo uomini e donne, non delinquenti. Ci riconoscevi quella dignità che tante volte ci veniva negata. Tu don Luigi hai tantissimi figli e nipoti. Figli nati da chi è uscito dal carcere. Un ottimo coltivatore, hai scommesso su piante in cui nessuno credeva, una foresta che silenziosamente è cresciuta. Caro don Luigi concediti almeno un mese di paradiso perché appena potrai cercherai di svincolati e andare a bussare alla porta dell’inferno per metterti al servizio degli ultimi. Riconoscere i morti anche dalla parte nostra, nella morte siamo tutti uguali e il dolore che scaturisce non deve dividere ma unire”.
Prende la parola Agnese Moro che fa sentire tutta la stima che ha per questo gigante, come spesso è stato chiamato durante la presentazione [il suo intervento nei video qui sotto].
Dopo il racconto di Agnese prende la parola Ferdinando, che ha sempre abitato vicino a San Vittore per cui ha sempre avuto disprezzo per quello che c’era li dentro, ma che tutto d’un tratto si è ritrovato ad affrontare un mondo atroce, inospitale, che però “quando tu incontri all’interno una persona che ti conduce su una strada che tu non puoi vedere, lì dentro la nostra libertà non sono celle o stanze. La nostra libertà è molto più in là”. Nell’82 Ferdinando entra in cella di isolamento, tavolo inchiodato, branda inchiodata, sedia inchiodata, specchio di plastica deformante “che ti deformava anche l’anima. In quel contesto avevo la compagnia di topi grossi come conigli. Il magistrato disse che forse era meglio che passassi un po’ di tempo lì. Ho parlato più volte con un gigante, don Luigi è stato uno di quegli uomini che poteva creare un rapporto tra te e Cristo. Parlava con gente di tutte le religioni e tutti lo ascoltavano”.
Franco omaggia don Luigi come uomo di teatro. “Don Luigi non vedeva un colpevole perché dietro, o dentro, a un colpevole c’è sempre un innocente”. Don Luigi gli aveva chiesto come dovrebbe essere un prete in carcere. “Un prete in carcere deve essere prima di tutto un complice e lui lo era”.
Anche Luigi Pagano, ex direttore del carcere, avrebbe voluto presenziare all’evento, come Salvatore Grillo, che lo descrive in un suo scritto come un grande uomo, grande gloria della Valsassina, sale sul palco anche Enrico Lodigiani, a capo di una grossa azienda di Milano, e racconta don Luigi così: “Determinato, non si fermava di fronte a niente non mollava mai. L’ascolto di don Luigi era l’ascolto perfetto. Non ti giudicava mai, era esigente, non faceva sconti, sapeva indicarti le cose giuste e meno giuste ma senza giudicare mai. Come ha detto Agnese Moro, il calore! Avevi sempre la sensazione che gli interessasse moltissimo di te. La tua vita la stava vivendo con la stessa tua intensità”.
C.A.M.