Una volta dissi “Grazie” a mia mamma, e lei mi rispose “Non sono mica la tua serva”, come a dire: “Non lo faccio perché voglio essere ringraziata, ma perché tu sei mio figlio”. È bella questa reciprocità: da una parte il “Grazie” doveroso, e dall’altra il disagio nel riceverlo perché quel servizio è stato fatto non per lavoro, ma per amore. Anche tutto il Vangelo ci parla di questa reciprocità fra il servizio del servitore fedele e il grazie del Padre. Nel Vangelo di oggi è richiamato l’atteggiamento di servizio disinteressato del discepolo di Gesù, servizio che non ha altro scopo che la gloria di Dio.
Ma nel Vangelo c’è posto anche per il ringraziamento del Padre, quando sarà Lui ad accogliere nel Regno il servitore fedele, farlo sedere a tavola e passare a servirlo.
Se ci fermassimo unicamente alla parabola di oggi per ricavare da essa l’idea di chi è Dio, dovremmo dire che il Dio di Gesù è piuttosto un “Dio padrone”.
Ma sappiamo quanto questo non sia vero: Dio ha sempre messo noi davanti a se stesso.
La parabola di oggi ci insegna invece come sia giusto che il nostro agire per Dio sia sempre disinteressato e fatto unicamente per la sua gloria.
Ci sembra di intuire come sarebbe bello vivere così: darebbe senso alle nostre fatiche, ci libererebbe da gelosie, da invidie, da attese o pretese di riconoscimenti: e anche se fossimo all’ultimo posto nella considerazione degli uomini, saremmo nella pace.
È così l’esempio di Giobbe nella prima lettura: in un giorno perde tutto e, pur suo dolore, esclama: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto: sia benedetto il nome del Signore”.
Come pure, nella seconda lettura, l’esempio di Paolo che dice: “Porto le catene come se fossi un malfattore”, ma può aggiungere, con una gioia più grande della tristezza delle catene: “Ma la parola di Dio non è incatenata”.
La mentalità del mondo vorrebbe farci calcolare tutto secondo la nostra convenienza immediata, perfino i nostri sentimenti più belli come l’amicizia, la generosità, la gratitudine; salvo poi rimanere intrappolati nella tristezza generata da questi criteri di convenienza.
Gesù, invece, ci invita ad avere sentimenti e gesti incuranti della nostra persona: anzitutto facendo tutto quello che dobbiamo fare, e poi dicendo con sincerità: “Ho fatto semplicemente quello che dovevo fare”.
E Dio, che è Padre, ci risponderà: “La mia gloria, la mia gioia è vederti felice”.
Non è una parola consolatoria: Gesù ha detto: “Sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza”.
Don Gabriele
Vicario parrocchiale