LETTERA. “RIFLESSIONI SU “STRANIERITÀ” E IDENTITÀ IN VALSASSINA”

Gentile redazione di Valsassinanews,
vi scrivo in seguito a un episodio spiacevole che mi ha visto protagonista, ma che credo sollevi questioni cruciali riguardanti la convivenza e la percezione dell’identità nella nostra amata Valsassina, soprattutto alla luce delle dinamiche demografiche attuali.

Vivo in questa splendida valle da diversi anni, pur essendo originario di Lecco, distante solo una decina di chilometri. Recentemente, durante una discussione con un residente locale, mi sono sentito definire “straniero” e mi è stato intimato di portare “rispetto” in quanto tale. La cosa più sconcertante è stata l’affermazione, fatta con orgoglio, che il mio interlocutore si definiva “razzista e fiero di esserlo”.

Non è purtroppo la prima volta che percepisco, in conversazioni con persone del luogo, un certo tipo di chiusura mentale e un’idea di “autoctonia” che mi pare non solo anacronistica, ma pericolosamente miope rispetto alle reali necessità di sviluppo e mantenimento della nostra comunità.

Mi sembra un’assurdità che in una valle la cui demografia è sempre più dipendente dall’apporto di nuovi residenti, si possano ancora nutrire simili pregiudizi. I dati parlano chiaro: come molte aree montane, la Valsassina presenta un saldo naturale negativo, con un numero di decessi che supera quello delle nascite. Questo trend rende il saldo migratorio positivo – l’arrivo di persone da fuori valle – un fattore essenziale per evitare un declino demografico.

La capacità di “rinnovarsi” demograficamente tramite le nascite non è omogenea e l’arrivo di nuovi residenti gioca un ruolo cruciale per la vitalità di molti, se non tutti, comuni della valle. Un’analisi del 2021 evidenziava un basso numero di nuove nascite in Valsassina durante il periodo pandemico, sottolineando ulteriormente la dipendenza dal contributo demografico esterno.

Siamo davvero “stranieri” coloro che, scegliendo di vivere e lavorare in Valsassina, contribuiscono a mantenere viva la comunità, a sostenere le attività economiche e, in molti casi, a colmare un vuoto demografico che altrimenti porterebbe a una progressiva desertificazione del territorio?

Ricordo che le implicazioni di un tasso di natalità persistentemente sotto lo zero e di una conseguente assenza di nuove generazioni vanno ben oltre il mero dato demografico. Un paese che non vede nascere bambini è un paese che progressivamente invecchia e si svuota. La mancanza di giovani incide profondamente sul tessuto sociale ed economico: si riduce la forza lavoro e si affievolisce la vivacità culturale e l’innovazione portata dalle nuove menti. Le scuole chiudono per mancanza di iscritti (altro che costruirne di nuove!) e le attività commerciali faticano a trovare nuova clientela e personale, e il rischio è quello di una lenta ma inesorabile desertificazione del territorio, non solo in termini di abitanti, ma anche di idee e di futuro. Un simile scenario porta con sé la perdita di tradizioni che non vengono tramandate, la chiusura di presidi sanitari per la scarsità di utenza e un generale senso di declino che mina la coesione sociale e la speranza nel domani.

La Valsassina vanta una storia e delle tradizioni preziose, ma la sua identità non può e non deve irrigidirsi in un concetto di “purezza” autoctona che ignora la realtà dei fatti e le necessità del futuro. L’apertura e l’accoglienza verso chi arriva da fuori non sono una minaccia all’identità, ma un elemento fondamentale per la sua evoluzione e la sua prosperità.

Spero vivamente che questa mia riflessione, supportata da dati concreti sulla demografia della nostra provincia e della nostra valle, possa innescare una seria e costruttiva discussione all’interno della comunità. È tempo di superare anacronistici pregiudizi e sciocche idee di anacronistico “razzismo” e di riconoscere il valore di ogni persona che sceglie di contribuire alla vita della Valsassina, indipendentemente dalla sua provenienza geografica.

Ringraziandovi per l’attenzione, porgo cordiali saluti.

Adriano Mazzoli