DON GABRIELE COMMENTA IL VANGELO DELLA TERZA DOMENICA DI PASQUA



Ci soffermiamo su due parole che emergono dal Vangelo di questa 3a domenica di Pasqua. Anzitutto: “Agnello di Dio che togli i peccati del mondo”. E’ un pensiero estraneo alla nostra mentalità moderna: avere consapevolezza del peccato personale e che c’è nel mondo, e riconoscere che c’è qualcuno che espia per noi.

Eppure questo è il fatto storico che abbiamo celebrato nella Pasqua: Gesù che dà la sua vita per noi. Non solo la sua dottrina, i suoi miracoli, ma la sua vita, la sua libertà, la sua carne, la sua passione, la sua preghiera. Nell’evidenza della sua sofferenza fisica noi possiamo scorgere i sentimenti di infinito amore di Dio per noi.

Sono cose che ci mettono davanti al mistero insondabile di Dio, del sacrificio di Gesù, del bisogno che abbiamo di Lui come nostro redentore, e infine del mistero del dolore, del male (cioè del peccato) e del bene (per fortuna c’è anche questo) nel cuore dell’uomo.

Ci è impossibile capire tutto questo; c’è però una certezza che lo illumina oltre la nostra comprensione: l’amore che unisce Gesù e il Padre, e come in questo amore Dio voglia accogliere anche noi. Così aveva pregato Gesù nell’ultima cena: “Come tu Padre sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola”. Questo agnello porta su di sé il peccato di tutto il mondo, e a chi si lascia portare dona la salvezza.

Ma come possiamo pretendere di capire tutto questo che non vediamo con i nostri occhi, quando non riusciamo a cogliere la relazione tra i nostri comportamenti e il male e la sofferenza che generano vicino e lontano da noi?

L’altra parola che emerge è come Gesù battezzi nello Spirito santo: un battesimo nel quale, conformandoci a Cristo, il Padre stesso si china su di noi e ci riconcilia a sé non con delle parole, ma facendoci dono del suo Spirito per il quale siamo resi realmente suoi figli.

Come fare a dire queste cose non come dottrina, ma come realtà creduta e vissuta, e che trasforma la vita? Cercando di rispondere, possiamo pensare a come è diversa

una pratica fredda di perdono (lo può essere anche la confessione!), dall’abbraccio del Padre che accoglie il figliol prodigo: un abbraccio nel quale il Padre dona tutto se stesso al figlio, e il figlio si perde, umile e confuso, in quell’abbraccio del Padre.

In quell’abbraccio c’è il dono dello Spirito santo. Facciamo tesoro di esperienze così anche nelle nostre relazioni personali.


Don Gabriele
vicario parrocchiale

 

 

 

 

 

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