EDITORIALE/”NON PENSI ALLE FAMIGLIE”: QUANDO SI DICE LA PROPRIA SUL DOLORE… DEGLI ALTRI



Stiamo perdendo il filo naturale con la morte. E con esso il valore sacrale del lutto che aiuta chi resta a metabolizzare la separazione da chi ci lascia.

In questo periodo, poi, soprattutto nei mesi passati, la morte è diventata ancora più invisibile. Durante la crisi Covid19 impossibile l’ultimo abbraccio, l’ultimo saluto in cimitero, il sostegno corale e sociale del funerale.

E in questa atmosfera si rischia di lasciarsi indietro valori importanti e di ferire chi colpito lo è già, magari trovandosi con ferite non rimarginabili.

Guardo la pagina Facebook di Mario Bressi, c’è gente che gli si rivolge con odio, sicuramente con una rabbia che si portano appresso da tempo e che ora si ribalta come una frana su una persona che non c’è più.

Perché la verità è che Bressi non esiste più, sia civilmente per cui non risponderà di quello che ha fatto, sia biologicamente. Colpendo i figli ha definitivamente annientato se stesso, interrompendo quella catena di trasmissione di Dna che la natura prevede e offre un prolungamento di ciascuno di noi negli anni futuri.

Allora che senso ha insultarlo, augurargli delle pene? Che senso ha parlare col nulla?

“Non pensate alle famiglie?” È una frase che riemerge quando la tragedia deve per forza passare per i media.

Allora c’è da chiedersi perché quelli tra la gente comune che si sentono leoni da tastiera sui social hanno l’urgenza di dilatare le proprie rabbie scaricandole e appoggiandole però su un dolore… degli altri. Altri, a cui i leoni da tastiera da social tra qualche mese non penseranno più.

Ma quegli ‘altri’ sono persone. Sono genitori, parenti e perfino amici. Persone vere, sentimenti reali.
E non umori da social che vanno a caricare chi adesso di peso da portare sulle spalle ne ha già abbastanza.

N. A.

 

 

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