DON GABRIELE COMMENTA IL VANGELO DELLA QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA



Di fronte a questo brano viene da chiedersi: “Chi sono i veri ciechi?”. Quell’uomo, cieco dalla nascita, non poteva vedere con i propri occhi, ma quando incontra Gesù che gli dice cosa deve fare se vuole vedere, non esita un attimo e si fida di lui.

Non così i farisei che per ben tre volte gli fanno ripetere ciò che Gesù ha compiuto e rimangono increduli anche di fronte all’evidenza: i loro pregiudizi vincono sulla realtà.

Persino i suoi genitori non si espongono per la paura di essere espulsi dalla sinagoga, cioè dalla vita della comunità.

Chissà quale meraviglia e gioia deve aver provato quel cieco che per la prima volta in vita sua vedeva.

Ma chissà anche quanta tristezza per sentirsi non capito e lasciato solo anche dai suoi genitori.



Forse pesava anche quell’opinione diffusa, trapelata dalla domanda iniziale degli apostoli ma smentita da Gesù, per cui se era nato cieco la colpa era dei suoi genitori o sua.

Forse il suo pensiero ha continuato a tornare a quell’uomo che gli aveva aperto gli occhi, quell’uomo e che non poteva essere uno qualsiasi, soprattutto non poteva essere un peccatore.

C’è poi una parola bellissima: “Gesù lo trovò”: ma allora lo cercava?

Quell’uomo adesso non aveva più il buio negli occhi, ma nel cuore, e per questo Gesù lo cerca.

E trovatolo gli dice: “Tu credi nel Figlio dell’uomo?”.

“E chi è, Signore, perché io creda in lui?”.

“Lo hai visto: è colui che parla con te”.

E il cieco: “Credo, Signore”, e si prostrò davanti a lui.

Ora non vede solo la luce del giorno con gli occhi del volto, ma è la luce della fede che lo raggiunge nel suo intimo, che illumina il suo cammino, che gli fa dire “Credo, Signore”.

E a noi, ciechi di oggi, quale luce Gesù dona, Lui che ha detto di essere luce del mondo?

E’ la luce della fede

che illumina il senso stesso della nostra vita (Perché vivere? Perché faticare? Perché morire? Non sono domande oziose, ma un’esigenza di senso);

che ci dà una certezza morale, di ciò che è bene e di come esso non vada perduto, invece dell’unica legge che oggi sembra contare: quella della convenienza del momento;

che ci sprona a vincere la cecità del cuore, cecità di non sapere vedere la sofferenza del fratello e di mettere il nostro cuore, concretamente, accanto al suo cuore.

Bellissima e intensa la stretta di mano fra Papa Francesco e il papà di Alan, il bambino annegato sulle rive della Grecia alcuni anni fa, e che ci scuote nella nostra cecità di cuore.


Don Gabriele

Vicario parrocchiale

 

 

 

 

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