DON GABRIELE COMMENTA IL VANGELO DELLA PENULTIMA DOPO L’EPIFANIA



Il Vangelo di oggi ci parla della chiamata dell’apostolo ed evangelista Matteo: è lui quel Levi che Gesù vede al banco delle imposte e chiama a seguirlo: da quel lavoro odioso e incline alla disonestà (lo si capisce dalla figura di un altro pubblicano, Zaccheo), Gesù lo chiama ad essere, come gli altri apostoli, pescatore di uomini.

A questo modo Gesù ci parla ancora una volta dei sentimenti del Padre verso tutti gli uomini: nessuno è escluso dall’invito a partecipare al suo Regno.

Soffermiamoci su due parole del Vangelo.

“Gesù lo vide e lo chiamò”: Gesù non ha paura del giudizio degli altri, di compromettersi, di “sporcarsi le mani” chiamando un pubblicano e peccatore a seguirlo.

Possiamo immaginare come già lo sguardo di Gesù dovesse esprimere fiducia: uno sguardo capace di suscitare desideri di bene, di energie nascoste: accogliere quell’invito è davvero l’inizio di una vita nuova.

Anche noi già facciamo una iniziale esperienza così quando siamo guadati bene da un altro, ad esempio da un genitore o insegnante.

E la risposta di Levi è immediata: “si alzò e lo seguì”.

Non sappiamo cosa ha fatto scattare in quest’uomo una decisione così repentina; quello che è certo è che quella parola “seguimi” deve aver toccato il suo cuore al punto di non aver alcun indugio nell’accogliere quell’invito.

Ci dà fiducia pensare che anche a noi Gesù rivolge il suo sguardo e il suo invito come li ebbe per Levi, oltre i nostri limiti e i nostri sbagli: sentirsi guardati da Lui con uno sguardo che esprime fiducia, al punto da essere chiamati da Lui a seguirlo fa nascere in noi il desiderio di una vita nuova; Paolo Vi diceva: il desiderio della santità.

Successivamente, alle critiche di chi lo accusava di mangiare e bere con pubblicani e peccatori, Gesù risponde:

“ Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”.

Certamente il primo significato di queste parole riguarda le persone davvero giuste anche davanti a Dio; ma queste parole fanno pensare anche a chi, credendosi lui stesso giusto, non erano in grado di accogliere la parola risanatrice di Gesù, come lo erano gli scribi che lo accusavano.

Perché: chi non ha bisogno di parole così?

Non sono parole che esprimono un giudizio, ma che danno speranza.

Una speranza che forse si perde quando si tocca il fondo per una vita disordinata e si pensa di non poter più venirne fuori, ma che la parola del Signore ridona.

Sembra un paradosso: ma è perfino bello sentirsi ammalati davanti a un medico così: ne sgorga un pianto di gratitudine e di consolazione, come deve essere stato quello del figliol prodigo.


Don Gabriele

Vicario parrocchiale

 

 

 

 

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