LORENZO GHIELMI A BARZIO LIBERA I CONTRASTI DEL BAROCCO TEDESCO



BARZIO – L’espressione della Musica Barocca allo stato puro, in tutta la sua bellezza. E la capacità di trasmettere, con la musica, lo spirito e l’essenza del suono di quell’epoca, dove armonia e polifonia si mescolavano, costituendo, usando le parole dello stesso Lorenzo Ghielmi, la parte “emozionale” e “razionale” di un’opera. Una polifonia che, però, deve essere fatta sentire, in tutti i suoi aspetti: la bellezza del Barocco è anche questo. Unito, per dirla ancora alla Ghielmi, a quella parte legata al movimento, alla danza, che, in qualche modo, si contrappone alla maggiore staticità rinascimentale, almeno nella musica strumentale.

Questo l’ho sentito da Lorenzo Ghielmi, in un una sorta di “assaggio” di Masterclass, alla quale ho partecipato, e sto partecipando, come uditore. Un percorso che durerà altri tre giorni, ed al quale sono davvero contento di poter essere parte del gruppo. Ed è stato bello, nel corso del concerto di Lorenzo Ghielmi, da lui tenuto nella chiesa di S. Alessandro a Barzio, sul monumentale Organo “Mascioni” del 1978, poter apprezzare tutte le sfumature di musiche che parlano di armonia, di rigore, ma anche di libertà, di apertura. In fondo, la musica è libertà con precisione, e mai come in questa arte questi due elementi, della libertà e della costruzione strutturale, appaiono tutt’altro che contrastanti.

Il concerto del docente della Masterclass, a differenza delle precedenti edizioni, non giunge alla
fine, ma all’inizio della Masterclass. E forse anche questo può avere un senso: infatti, la sua
esecuzione non è venuta a coronamento di un corso, ma quasi a mostrare un punto di arrivo, a cui
tutti gli allievi potranno tendere. Un concerto che ha mostrato la sua idea di interpretazione barocca, fungendo quindi da riferimento agli allievi, nei giorni che seguiranno. Come se volesse segnare una sorta di punto di arrivo, e nello stesso tempo quel punto di partenza che gli allievi stessi avrebbero dovuto considerare, per poi spaziare in quello che per loro un certo pezzo vuole dire. Anche questa è libertà, e nello stesso tempo è rigore e precisione. Lo stesso Ghielmi, infatti, si è posto durante il corso in maniera analitica, ma nello stesso tempo senza presentare la sua proposta come assoluta. Una proposta che è comunque frutto di uno studio approfondito che considera ogni singola nota, ogni singolo respiro di una partitura, e che cerca di cogliere l’attinenza o meno con un periodo storico in cui la musica stessa è collocata. Confrontando anche diverse edizioni dello stesso brano.

La proposta del concerto ha evidenziato tutto questo: uno studio meticoloso, approfondito, che ha cercato di evidenziare la polifonia della musica, senza rinunciare a quella parte passionale, a quegli “eccessi” che la musica stessa propone, usando ancora le sue parole, e che, forse, ne fanno la profonda bellezza.

Il programma è partito con Dietrich Buxtehude (1637-1707), quell’autore che è stato punto di riferimento di molti autori tedeschi dell’epoca, almeno nella Germania del Nord, primo tra tutto Johann Sebastian Bach, che, quando era ad Arnstadt, andò a piedi sino a Lubecca per ascoltarlo.
Di Buxtehude sono stati proposti tre brani. Il primo, il Praeludium in sol minore BuxWV 149. In questo brano si trovano due fughe, che Ghielmi stesso ha descritto come “contrastanti”. L’esecutore ha saputo far emergere, attraverso l’uso delle registrazioni, l’aspetto drammatico del brano, e nello stesso tempo ha saputo evidenziare tutti gli aspetti della sua polifonia, facendo sì che gli elementi di contrasto emergessero in tutta la loro intensità. Dopo il corale “Non bitten wir den heiligen geist” (Noi ti preghiamo o Santo Spirito), dal tipico canto “ornato”, come nella tradizione tedesca, ecco la notevole Passacaglia in re minore. Qui un semplice tema di sette note (forse questo numero ha un significato?) fa da “sfondo” ad un crescendo armonico, che l’esecutore ha saputo interpretare al meglio, sfruttando le sonorità dell’Organo Mascioni, e proponendo un’interpretazione che, al rigore, ha unito quel pizzico di “estro creativo” che rende la musica viva, e gli dà davvero “voce”.

È stata poi la volta di Georg Böhm (1661-1733), anch’egli della scuola della Germania del Nord. Il corale proposto Vater Unser in Himmelreich” (Padre Nostro che sei nei Cieli) ha visto una struttura brillante e luminosa, giocata sull’argano positivo e sul grand’organo, e con un pedale mai coprente, ma sempre in grado di dare il ritmo a tutto il flusso del discorso musicale.

Poi si passa a lui, a Johann Sebastian Bach (1685-1750). Quell’autore che per molti significa il Barocco, ma nello stesso tempo anche il flusso verso il divenire, tanto che qualcuno l’ha definito: “Il più moderno degli antichi, e nello stesso tempo il più antico dei moderni”. Del grande musicista di Eisenach sono stati eseguiti diversi brani. La partenza è stata con il Concerto in Sol Maggiore BWV 592. Questo, come tutti i successivi sino al 597, è una trascrizione di brani di altri autori. I più noti tra questi sono il BWV 593 in la minore e il 596 in re minore, entrambi trascrizioni di brani di Vivaldi. Nel caso proposto, si tratta di una trascrizione di un Concerto per Violino di Johann Ersnt, Duca di Sassonia Weimar. Un brano sicuramente interessante, con due tempi veloci, contrapposti ad un grave centrale, dove il ritmo è cadenzato, lento, con una sorta di incedere meditativo, dove le voci dialogano, con il pedale che enfatizza il momento musicale.
L’Aria Variata alla Maniera Italiana BWV 989 è un brano interessante: un’aria con variazioni, che in qualche modo poteva ricordare le “Partite su Corali”, piuttosto utilizzate nella tradizione musicale del Barocco Tedesco. Qui, l’uso dell’organo, e delle sue sonorità, è stato davvero globale. Gli effetti timbrici che l’esecutore ha saputo trovare hanno permesso di apprezzare al meglio il tessuto armonico e polifonico, potendo percepire ogni sfumatura del brano.
A seguire, un Preludio e Fuga in re Minore, frutto della combinazione di due brani: un Preludio (BWV 1001/1) e una Fuga (BWV 593/2). La trascrizione del Preludio, originariamente per violino, è dello stesso Ghielmi. Particolare nella fuga il trovare successioni monodiche e arpeggiate, che l’esecutore ha saputo evidenziare, dandogli il giusto impatto emotivo, senza mai eccedere.
In chiusura, la monumentale Passacaglia e Fuga in do minore BWV 582, forse uno dei più grandi capolavori di tutti i tempi, dove il tema si ripete in otto battute, che sono ridotte a quattro nella fuga. E dove la polifonia raggiunge grandissime vette. Anche qui uso totale dei tre organi, con la
possibilità, quindi, di poter apprezzare al meglio i vari episodi del brano, davvero, per così dire, “concertato”. Sino alla conclusione. Lo stesso Ghielmi ricorderà, durante il corso, che, in diversi brani di questo periodo, la fuga è seguita da una sorta di “postludio”. Che in questo caso “cadenza” in tonalità maggiore.
Come bis, il Corale BWV 731 “Liebster Jesu Wir Sind Hier” (Dolce Gesù, noi siamo qui) che, con le sue note soavi, ha quasi segnato un contrasto con il precedente brano. In fondo, il Barocco è epoca di contrasti, di luci ed ombre, di chiari e scuri. Sono proprio questi contrasti, combinati assieme, a creare affreschi musicali. E forse è questo che lo rende così speciale, non solo nella musica, ma in tutte le arti, compresa la pittura, dove gli affreschi musicali divengono “musica” che si manifesta in forme visive. In fondo, lo stesso Pitagora sosteneva che la geometria è suono solidificato.

Un grande esecutore come Lorenzo Ghielmi ci ha fatto apprezzare tutto questo al meglio, nei suoi contrasti che, sotto le sue dita hanno preso forma nel migliore dei modi. Ed è stato bello gustarne il profondo respiro musicale. E portarlo dentro di noi.

Contributo di Sergio Ragaini

 

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