DOMENICA CON LA CULTURA LA TRADIZIONE DEL FERRO A PREMANA



Il Museo è articolato in varie sale, aventi temi specifici. Così la Sala del Costume raccoglie gli oggetti di casa, gli attrezzi per la tessitura e quelli della cucina. La Sala dell’Agricoltura è suddivisa in agricoltura e allevamento, lavorazione del latte e falegnameria. Ma è soprattutto la Sala del Ferro a testimoniare l’attività prevalente della piccola comunità.

La tradizione della lavorazione del ferro nell’alta Valsassina e Val Varrone ha radici antiche: sembra che già in epoca romana, se non addirittura prima, si estraesse ferro dalle montagne. Il ferro, contenuto insieme a tracce di zolfo e fosforo nella siderite, affiora tra le rocce della Val Varrone e della Val Biandino, e veniva estratto faticosamente a suon di martello e scalpello. Il minerale era frantumato il più possibile prima del trasporto, e poi “arrostito” per eliminarne lo zolfo e le prime impurità. Il sistema di fusione più antico era quello del forno a cumulo, dove minerale grezzo e carbone di legna erano accatastati insieme e ricoperti da terra, in modo che la combustione avvenisse lentamente. Questi forni rudimentali, chiamati nel dialetto locale poiat, non superavano la temperatura di 1200°, producendo quindi ferro dolce, che conteneva solo il 10% del minerale e tantissima scoria.

Nel Medioevo il forno divenne una struttura fissa in muratura, dotata di mantice per la ventilazione. La produzione migliorò notevolmente, con il recupero quasi totale del metallo presente nel minerale. Per azionare i mantici si cominciò a sfruttare la forza dell’acqua e, abbandonati i poiat sulle montagne, i forni vennero realizzati a valle, lungo i torrenti. La forza dell’acqua venne inoltre incanalata per il funzionamento di grossi magli per la battitura e la forgiatura del metallo. Il primo forno fusorio per il minerale di ferro in Val Varrone è documentato nel 1253, preso l’Alpe Forni. I paesi di Premana e Pagnona gravitavano allora nell’ambito dei possedimenti dell’arcivescovo di Milano, gestiti dalle famiglie dei Della Torre prima, e dei Visconti poi.

Nel XIV e XV secolo il Ducato di Milano fece seri investimenti sulla produzione premanese, poiché la valle era strategicamente importante per l’estrazione, la fusione e la lavorazione del ferro, indispensabile per la fabbricazioni di attrezzi e utensili, ma soprattutto di armi, armature e apparecchiature belliche. Milano stava attraversando il periodo di suo massimo splendore: la famiglia dei Visconti governava sulla città ormai da un paio di secoli, tenendo testa a Venezia, Firenze e alle città rivali della Pianura Padana. Nel 1410 la Repubblica di Venezia riuscì però a conquistare la Val Camonica e la Val Brembana, portando il suo confine lungo il corso dell’Adda. Sulle montagne il confine era posto sul Pizzo dei Tre Signori. Milano perse così l’apporto minerario delle valli bresciane e bergamasche, e dovette incrementare la produzione della Valsassina. Ai tempi degli Sforza si trovarono nuove vene minerarie, si costruirono nuovi forni fusori, si trasportarono a valle pesanti carri di materiale grezzo, destinato alle officine della fiorente industria armoraria, dove “si fondevano cannoni, palle, ed altri guerreschi attrezzi”.

Nel 1574 a Premana, su una popolazione di poco più di 600 anime, c’erano 4 spadari, 3 maniscalchi e ben 40 fabbri che forgiavano coltelli, forbici, chiavi, serrature e cancelli. Le tecniche fusorie conobbero uno sviluppo fondamentale, con l’introduzione di mantici sempre più complessi che permettevano di ottenere temperature più elevate. Nei nuovi forni, che raggiungevano anche i dodici metri di altezza, non si produceva più solo ferro dolce, ma anche ghisa, contenente una percentuale maggiore di carbonio. I forni erano strutture costose, utilizzate a turno da più imprenditori che vi portavano il proprio minerale da fondere. All’inizio del 1600 attorno a Premana c’erano sei forni, che producevano dieci tonnellate di ghisa ogni giorno, dando lavoro a decine di operai. Lungo ilfondovalle sono tuttora presenti parecchi ruderi di magli, forni e fucine, che purtroppo però non sono visitabili a causa delle cattive condizioni di conservazione.

Diversi artigiani premanesi, in verità, migrarono nella Repubblica della Serenissima, perchè Venezia pagava bene le abilità tecniche dei mastri ferrai. I valsassinesi si trovarono così a produrre non solo armi, lame e forbici, ma persino i caratteristici “pettini” delle gondole. Tra i più fortunati e intraprendenti troviamo anche quell’Andrea Conti, calderaio a Padova e mastro di fucina personale dello scultore Donatello.

L’attività mineraria in Valsassina entrò in crisi durante la dominazione spagnola, nel XVII secolo: l’inettitudine del governo centrale permise ad alcune famiglie di arricchirsi con la gestione in proprio delle miniere e dei forni fusori, ma mancò uno stimolo per la commercializzazione del prodotto. Nonostante l’introduzione della polvere da sparo, che facilitava l’estrazione del minerale, la produzione diminuì. Bisognerà aspettare il periodo della dominazione asburgica per vedere nuovamente incentivata la produzione. Vennero infatti incrementati i forni e aboliti i dazi interni sul trasporto del minerale. Si realizzò inoltre una strada di accesso alle miniere (la cosiddetta “strada di Maria Teresa” tuttora percorribile sulla Dorsale Orobica) e furono addirittura stabiliti premi per la scoperta di nuovi filoni metalliferi.

Nel 1789 l’imperatore Giuseppe II avocò allo Stato le concessioni minerarie ed emanò leggi per tutelare il patrimonio boschivo, messo in serio pericolo dall’attività dei forni fusori: ogni albero disponibile veniva tagliato per alimentare i fuochi delle fucine. Ma la produzione era destinata a esaurirsi: il materiale estratto era insufficiente alla richiesta del mercato, e non era in grado di far fronte alla concorrenza, soprattutto straniera. Anche l’assenza del carbon fossile, indispensabile per il funzionamento dei forni, penalizzò le vallate prealpine. In piena Rivoluzione Industriale, l’attività mineraria della Valsassina declinò: l’ultimo forno premanese chiuse nel 1845, tre anni più tardi si abbandonarono le miniere della Val Varrone, e infine l’attività metallurgica si spostò definitivamente a Lecco, dove stava nascendo un importante polo siderurgico.

di Silvia Tenderini
Scrittrice e storica

 
 

Il Museo Etnografico di Premana ha sede in via Roma nella Villa Cazzamalli, di proprietà del Comune, ed è aperto tutto l’anno al sabato e alla domenica dalle 15.00 alle 18.00. Agosto tutti i giorni dalle 15.00 alle 18.00. Per informazioni tel. 0341 890175.

 

 

 

 

 

 

 

 

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