DON GABRIELE COMMENTA IL VANGELO DELLA SETTIMA DOMENICA DOPO PASQUA



Il Vangelo di oggi ci propone l’incontro di Gesù con i due discepoli di Emmaus che, delusi per la fine ingloriosa e drammatica di Gesù sulla croce, se ne ritornavano alle loro case e alla loro vita senza più speranza. In verità, un barlume di speranza sembra di coglierlo quando raccontano delle donne andate al sepolcro: sono sconvolti e perplessi, ma non riescono ad andare oltre. C’era bisogno di una lettura più profonda delle Scritture rispetto a quella che anche loro conoscevano: una lettura capace di cogliere come tutte le Scritture si riferissero a Gesù e lo rivelassero.

Avevano bisogno di un maestro interiore, capace di arrivare al loro cuore.

Anche noi abbiamo bisogno di un maestro così, che ci riveli Gesù nelle Scritture (in alcune pagine sarà più facile, in altre sarà più difficile), e dia gioia ed entusiasmo al nostro cuore.

Questo incontro è come scandito in tre momenti.

C’è anzitutto il ritorno dei discepoli alle loro case, segno evidente della loro delusione: “Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele”: era la falsa attesa di un messianismo terreno che rimane delusa.

È sempre presente la tentazione di pensare Dio a modo nostro, come lo vorremmo noi: un Dio che sistema le cose non giuste che ci sono nel mondo o i nostri problemi personali: ma questo modo di pensarlo, pregarlo, pretendere, genera delusione.

Non è un modo per scusare il silenzio di Dio: Dio non ha bisogno di essere difeso da noi.

È Lui stesso che spiega il modo di essere Salvatore: ed è il secondo momento di questo incontro.

Gesù riassume così il suo modo di essere Salvatore: “Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”.

Non fa uso della sua potenza, ma accetta liberamente e volentieri, anche se con indicibile sofferenza, il silenzio, l’umiliazione e la morte: sono queste le cose che faranno sorgere il suo Regno nei nostri cuori: quando riconoscerò “l’hai fatto per me”, e chinerò la testa e le ginocchia del cuore davanti a Lui.

Infine, il terzo momento è quello del ritorno dei due discepoli a Gerusalemme, nella fraternità della Chiesa, dove possono dire e confrontare la propria esperienza e riceverne conferma dalla comunità, in particolare da Pietro: “Davvero il Signore risorto ed è apparso a Simone”, cioè a Pietro.

La fede e il sostegno che da essa riceviamo non è solo qualcosa di individuale, ma è uno scambio e un aiuto reci-proco nella fraternità della Chiesa.

Don Gabriele
Vicario parrocchiale

 

 

 

 

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