La famiglia decise di indirizzarlo agli studi ecclesiastici, ma lui non era d’accordo e, a diciannove anni, fuggì dal Seminario di Milano dove studiava e si arruolò con altri due compagni nei Cacciatori delle Alpi, sotto la bandiera del Re di Sardegna. Tra aprile e maggio del 1859 partecipò con Giuseppe Garibaldi alla prima campagna, sulle Prealpi tra Piemonte e Lombardia, che sarà ricordata poi come la Seconda Guerra d’Indipendenza.
Rientrò poi a Milano, e di lì a Pavia per studiare Legge, ma non resistette alla tentazione di tornare a combattere di nuovo sotto gli ordini di Garibaldi.
Così il 5 maggio del 1860 si imbarcò a Quarto di Genova insieme ai Mille e "compì valorosamente il proprio dovere fino al Volturno, sin quando l’esercito garibaldino fu sciolto", come si legge nella sua biografia.
Baruffaldi fu anche ferito a Palermo, durante l’insurrezione di fine maggio, ma volle continuare a combattere e a seguire la spedizione.
Nella battaglia di Reggio Calabria, il 21 agosto 1860, riuscì a tener testa alle truppe borboniche insieme a un gruppetto di pochi compagni. Fu così insignito della Medaglia al Valor Militare, e promosso da Nino Bixio sul campo a Tenente per merito di guerra.
Nel 1862, dopo la dichiarazione di guerra dell’Esercito Regio ai garibaldini, Baruffaldi fu dichiarato disertore dell’esercito regolare. Non aveva infatti prestato il servizio militare con la leva del 1839, che era stata richiamata alle armi mentre lui, ignaro, stava combattendo in Sicilia. Così fu degradato a soldato semplice. Alla fine della guerra l’amnistia generale gli condonò la denuncia per diserzione.
Baruffali tornò alla vita civile, cambiò università abbandonando Pavia, e conseguì la laurea di Regio Notaro: nei registri dell’Università di Bologna, Alma Mater Studiorum, il 12 maggio del 1866 risulta la sua laurea con lode in Giurisprudenza con la tesi: Della patria podestà – A chi spetta e quali ne sono gli effetti?
Silvia Tenderini